Tomb Raider: Underworld - la recensione

Era il non più recente Novembre del 1996 quando la bellissima Lara fece la sua prima comparsa al grande pubblico. Dopo ben diciotto mesi di gestazione, il progetto di Toby Gard prese vita e con esso una delle eroine più amate nella storia dei videogiochi. Da allora sono trascorsi la bellezza di dodici anni, svariati capitoli all’attivo e un desiderio sempre più costante: raggiungere nuovamente i fasti di quel primo ed indimenticabile episodio. C’è da dire che le due iterazioni successive hanno comunque protratto la fama di una serie oramai divenuta storica, ma dal quarto in poi si è registrato un “declino” di consensi che sembrava aver messo in qualche modo la parola fine al regno della celebre archeologa.

Forse è che in un’epoca videoludica come quella attuale lo spazio per un gioco più ragionato e meno frenetico è sempre meno, oppure semplicemente l’attrattiva di un titolo come Tomb Raider va sempre più scemando. Qual che sia la verità, gli irriducibili estimatori hanno sempre atteso al varco un nuovo titolo incentrato sulle vicende di Lara Croft, degno del nome che porta. Se Tomb Raider: Underworld sia andato incontro a queste esigenze di alcuni lo scopriremo lungo questa nostra analisi, in cui tenteremo di tener conto anche del retaggio di un brand come quello in esame. Buttiamoci anche noi, quindi, in questo mondo sommerso in cerca di risposte.

ALLA RICERCA DI AVALON…

Il gioco, a livello narrativo, segue uno schema particolare e più volte visto in tante produzioni cinematografiche, partendo da un punto ben diverso dall’inizio delle vicende. Ci troviamo infatti nella residenza Croft, che sta letteralmente cadendo in fiamme per non si sa quale motivo. Scaraventati immediatamente nell’azione, questa fase fungerà da brevissimo tutorial circa le componenti basilari. Giunti presso l’uscita della lussuosa villa, Zip tenterà di spararci ma… non avremo chiaramente modo di capire il perché se non più avanti. Di fatto, sembrano essere gli eventi immediatamente successivi a costituire i risvolti di una trama non troppo complessa ma comunque gradevolissima.

Lara è in cerca della famosa Avalon, luogo in cui si dice riposi Re Artù. Nonostante lo scetticismo della bella eroina, sembra esista una vaga possibilità di avere notizie su sua madre, il che carica di ulteriori motivazioni la nostra protagonista, che subito si mette in cerca di questo misterioso luogo. Senza svelare oltremodo gli eventi che costellano l’intera avventura, possiamo tranquillamente esternare il nostro più vivo apprezzamento per l’affascinante ricorso alla stupenda mitologia norrena.

Vero perno di un titolo come Too Human, Crystal Dynamics ha preferito attenersi in maniera decisamente meno “libera” rispetto ai Silicon Knights, adattandola al contesto. L’integrazione dei miti nordici con le vicende narrate in Underworld funge da ottimo catalizzatore al dipanarsi degli eventi, con accenni a figure come Thor, Odino, il Valhalla e via discorrendo. Inutile sottolineare che l’attenzione pregnante di Lara si concentri, man mano che andiamo avanti, sul Ragnarok. Secondo la mitologia in oggetto, il Ragnarok costituisce la battaglia finale tra il Bene e Male, al cui termine, però, l’intero mondo perirà. Il resto lo lasciamo a chi vorrà approcciarsi a questo gioco.


SENZA L’INGEGNO LA FORZA VALE A POCO

Se finora abbiamo discusso con toni entusiastici circa il coinvolgente fulcro narrativo, ci sembra doveroso calmare gli animi di coloro i quali stessero già “gridando al miracolo”. Il punto è che Underworld è un Tomb Raider, nel bene e nel male, di conseguenza porta con sé i tratti e gli stilemi storici della serie. Se ciò va più che bene riguardo la struttura del gioco – essenzialmente esplorativa e non avara di enigmi – non si può dire lo stesso in relazione ad alcuni limiti tecnici che compromettono spesso e volentieri in maniera determinante la giocabilità. In primis è giusto citare la pessima gestione della telecamera in svariate situazioni. Data la predilezione, come già accennato, alla risoluzione di piccoli enigmi piuttosto che all’azione dura e pura, questo elemento ha una rilevanza non indifferente. Spesso, in prossimità di alcune superfici, la telecamera stabilisce a proprio piacimento la nostra visuale, impedendoci di scorgere punti indispensabili per poter proseguire. Si comprende bene quanto tali limiti inficino notevolmente il gameplay, anche se per fortuna non dobbiamo sistematicamente confrontarci con questi problemi.

Data la natura del gioco, inoltre, disponiamo a priori dell’intero arsenale – con le classiche munizioni infinite per le due pistole. A disposizione di Lara c’è pure un indispensabile rampino, attrezzo principe per ogni avventuriero che si rispetti. Assodato che lungo l’arco delle nostre sessioni ci tocchi risolvere svariati enigmi, esistono chiaramente anche alcune sezioni che necessitano della nostra abilità anziché del nostro cervello. Non molte a dire il vero, e piuttosto approssimative per i più sofisticati. L’aggancio automatico del nemico rende questa fase davvero blanda e tutt’altro che articolata, ma nonostante tutto piacevole. D’altra parte sono altri gli obbiettivi che il gioco si prefigge, e tale consapevolezza deve costituire la vera discriminante ai fini di un possibile interessamento. In ogni caso gli scontri a fuoco presentano anche alcune piccole soluzioni alternative come una breve fase in slow-motion: questa si attiva una volta colmato l’apposito indicatore in alto a sinistra. Ciò ci permette di far fuori un nemico con un singolo colpo alla testa qualora riuscissimo a centrare esattamente il cerchio che appare.


GRAFICA E SONORO

Torniamo a far sorridere i potenziali fruitori esaminando altre due componenti rilevanti, ossia l’aspetto grafico e quello sonoro. Sì perché Tomb Raider: Underworld vanta in entrambi i casi una veste decisamente riuscita. Già la suggestività di certi scenari gioca a favore in tal senso, se poi consideriamo la discreta varietà dell’offerta… il gioco è fatto! Ci troviamo a condurre le nostre campagne in luoghi come i fondali del Mar Mediterraneo o del Mar Glaciale Artico, passando per le fitte giungle tailandesi e messicane. In tutti questi casi, però, il colpo d’occhio è davvero notevole, con scenari carismatici e densi di un particolare fascino che sembra immetterci in tutto e per tutto nella relativa atmosfera.

La stessa Lara – salvo forse per la resa del volto non ancora eccelsa – gode di animazioni e textures accattivanti, e non solo per le eccezionali curve. Certo non dispone di un parco movenze eccessivamente ampio, ma quel che c’è sembra bastare e, soprattutto, sembra essere abbastanza coerente. Tutte cose che rendono giustizia alla nostra studiosa di antichità, e che depongono a favore del titolo in questione. Da segnalare anche dei notevoli effetti luce, con particolare riferimento alla luce naturale più che a quella artificiale. Di contro, qualche piccola incertezza tecnica nel momento in cui – grazie al cielo raramente – il nostro personaggio rimane bloccato in taluni punti a contatto con determinate superfici; salvo poi “sbloccarsi” smanettando un po’ col pad.

Come minimo coinvolgente tutto ciò che riguarda l’aspetto audio. Se i temi d’ambientazione risultano assolutamente felici ed immersivi, è inevitabile sottolineare la bontà dei brani che fanno da sfondo alla nostra avventura. Evocativi quanto basta, pare quasi che in alcuni frangenti non se ne possa fare a meno. Ripetitivi, al contrario, i versi emessi da Lara, anche se è un qualcosa su cui si può totalmente passare sopra – d’altra parte anche loro fanno parte, volente o nolente, del mondo di Tomb Raider.


COMMENTO FINALE

Siamo combattuti ai fini del giudizio finale. Fermo restando che siamo rimasti decisamente soddisfatti del titolo in sé, pesa fortemente qualche incertezza di troppo a livello tecnico – elemento che incide inevitabilmente su di una qualsivoglia valutazione globale. Se la macchinosità di certe meccaniche sono, non solo tollerabili, ma per giunta graditissime – considerato il gioco di cui stiamo parlando – certi difetti vanno senz’altro rivisti. Un’incerta gestione della telecamera e qualche raro “blocco” della nostra eroina rendono snervanti certi passaggi, compromettendo a brevissimi tratti l’intera esperienza.

Più che una critica il nostro va inteso come un genuino sprone nei riguardi di un gioco che, diversamente, sarebbe rientrato a pieno titolo tra quelli da avere. Questo anche alla luce di una trama non lunga ma intensa, frutto di una riuscitissima commistione di elementi tratti dalla mitologia norrena e intelligentemente integrati a miti più recenti, appartenenti a civiltà completamente diverse. Insomma, la signorina Croft esercita sempre un certo fascino e sinceramente ci sentiamo di promuovere lo sforzo profuso da Crystal Dynamics, anche se non a pieni voti. Quanto detto va pure visto in prospettiva: limate alcune imperfezioni e colmate certe piccole lacune, il rischio che Tomb Raider torni a ricoprire il ruolo di un tempo è davvero alto.

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