Battlefield: Bad Company 2 - la recensione

Dopo aver passato gli ultimi mesi a fantasticare sulle meraviglie videoludiche che i ragazzi di DICE ci avrebbero offerto attraverso questo attesissimo sparatutto in prima persona, approfittiamo finalmente della commercializzazione di Battlefield: Bad Company 2 per andare a scoprirne assieme a voi le peculiarità e, perchè no, le criticità.

Traendo profondo insegnamento dall’immane lavoro svolto col primo capitolo della saga, infatti, l’ultima fatica videoludica della rinomata sussidiaria svedese di Electronic Arts prosegue nella sua lenta opera di “ringiovanimento” di un genere che, sia nel bene che nel male, contraddistingue profondamente l’attuale generazione di console.

La prima avventura della Bad Company, con un’incredibile distruttibilità degli elementi a schermo e con una vastissima libertà di movimento, ha saputo indicare una strada ben precisa a quegli sviluppatori che, adesso, ci chiedono di seguirli in quello che, a tutti gli effetti, può essere candidamente definito come “l’anti-Modern Warfare 2.

Correte perciò ad indossare il vostro elmetto preferito, controllate la dotazione ed il munizionamento, stringete forti le cinghie dello zainetto con il paracadute e lasciatevi cullare dal rumore ciclico delle pale dell’elicottero che sta per portarvi sul luogo di combattimento: Bad Company 2 v’attende impaziente dopo la pausa, assieme alla nostra apposita recensione.

ALLA RICERCA DELLA BOMBA SCALARE

Prima ancora di riprendere le redini dello scapestrato reparto del 222° battaglione dell’Esercito americano e di continuare la guerra contro le forze messe in campo dalla Federazione Russa in quella che può essere definita come la Terza Guerra Mondiale, con un abile esercizio di stile i DICE si lanciano perentoriamente in un flashback che ci permette di capire cosa andremo davvero a fare nel corso di Battlefield: Bad Company 2.

Eccoci allora nel lontano 1944, nel bel mezzo del Mar del Giappone, a portare i nostri compagni marines su di una zattera fatiscente: scopo della missione è quello di infiltrarsi tra le linee nemiche e di prelevare un importantissimo collaborazionista, uno scienziato giapponese che si rifiuta di costruire per il proprio governo dispotico la famigerata “bomba scalare”, ossia un’arma in grado di emanare degli impulsi elettromagnetici così forti da distruggere le postazioni nemiche e di far collassare intere megalopoli su se stesse come castelli di carte (azzerando per giunta i sistemi di comunicazione per un raggio di migliaia di chilometri dal punto in cui viene detonata).

Nonostante l’azione eroica dei marines in questione, data l’importanza del progetto della bomba scalare alla missione viene dato immediatamente un’altissimo livello di segretezza, tenendo così all’oscuro l’opinione pubblica ed i restanti Paesi dell’esistenza di un ordigno incredibilmente devastante: a cinquant’anni di distanza, però, un alto gerarca militare russo riesce misteriosamente a scoprire i documenti e gli studi dello scienziato giapponese “disertore”.

Sperando quindi di bloccare sul nascere i piani nemici per la costruzione di un’arma che potrebbe ribaltare drammaticamente le sorti del conflitto a svantaggio degli Stati Uniti e delle nazioni occidentali resistite fino a quel momento alla violenta avanzata russa, i servizi d’Intelligence americani chiamano in servizio la Bad Company che, a due anni dalle azioni compiute nel primo capitolo della serie di DICE, potrà così dimostrare di essere affiatata (e pazza) come un tempo.

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QUESTA STANZA NON HA PIÙ PARETI, MA ALBERI (E PROIETTILI)

Come ben sanno tutti coloro che hanno divorato il primo episodio della saga con protagonista la compagnia “B”, l’elemento che contraddistingue lo sparatutto targato EA e DICE è l’elevata interattività “distruttiva” degli elementi architettonici che di volta in volta ci si presentano a schermo. Seguendo questa fortunata (ed azzeccata) strada stilistica, infatti, i ragazzi della casa di sviluppo di Stoccolma hanno giustamente ampliato in tal senso le possibilità offerte al videogiocatore: il motore fisico di Bad Company 2 permette all’utente di poter radere letteralmente al suolo un buon 90% degli edifici con cui si può entrare in diretto contatto (tralasciando quindi tutti i modelli poligonali che arricchiscono lo sfondo).

A far però da triste contraltare a questa sorta di “fisicità dinamitarda” ci pensa purtroppo la linearità delle missioni in singolo: pur essendo incredibilmente varie sia negli incarichi da portare a termine che nelle ambientazioni, quasi tutte le missioni hanno un solo modo per essere portate a termine, ossia quello di proseguire per il sentiero tracciato da DICE e di falciare quanti più nemici possibile prima di giungere a destinazione, con una logica “a tappe” che mal si sposa con la libertà regalataci dal motore fisico.

Pur constatando come la componente narrativa riesca ad essere assolutamente godibile e sufficientemente ricca di colpi di scena più o meno teatrali, l’azione scriptata ci fa sentire come squali stipati dentro vaschette di pesciolini rossi: è davvero frustrante scoprire come l’azione di gioco corrisponda così poco alle “promesse” fatteci da DICE in questi mesi, specie in considerazione dell’ampiezza teorica dei luoghi in cui andremo a combattere (montagne, giungle immense, praterie a perdita d’occhio e deserti che ci invitano a percorrerli a piedi nudi ma che invece siamo costretti ad ammirare solo da lontano con il binocolo).

Esattamente come con la libertà di movimento, ci vediamo costretti a giudicare negativamente anche il lavoro compiuto con l’intelligenza artificiale dei nemici e, soprattutto, con il bilanciamento delle armi in dotazione: se nel primo caso non possiamo che rimanere sconcertati nell’ammirare soldati nemici che non prendono minimamente l’iniziativa (se non tramite azioni precalcolate) e che reputano come sicura una postazione difensiva che si regge in piedi con lo sputo (dal quale si sporgono e sparano sempre e comunque ad intervalli regolari come orologi svizzeri), nel secondo caso notiamo quanto poca ricerca sia stata fatta da DICE nel dare ad ogni singola categoria di armi una sua “vocazione” specifica (perchè dannarsi a cercare tra cadaveri e macerie il fucile migliore se basta ed avanza una pistola o una semplice mitragliatrice con mirino per avere la meglio su interi nugoli di soldati?).

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MULTIPLAYER

La naturale vocazione multigiocatore della saga ne esalta le caratteristiche migliori e, al contempo, maschera sapientemente l’evidente inesperienza di DICE nella programmazione di campagne in singolo convincenti e coinvolgenti. Come hanno potuto sperimentare tutti gli amanti della serie che in queste settimane hanno partecipato alla beta di Bad Company 2, infatti, possiamo affermare senza patemi d’animo che ci troviamo di fronte ad una delle componenti multiplayer più ricche ed interessanti dell’attuale generazione videoludica.

Nonostante le modalità di gioco siano solamente quattro (Deathmatch a squadre, Conquista, Corsa e Corsa a squadre), ognuna di loro racchiude in sè l’essenza primigenia dell’intera saga e la eleva a standard qualitativi stratosferici: la distruttibilità degli elementi architettonici rende particolarmente intense anche le sessioni di gioco in mappe relativamente piccole, e il vasto numero di mezzi a disposizione (così come talune categorie di armi) riacquistano un loro valore se utilizzate all’interno di vaste arene con decine e decine di utenti connessi.

In un ambiente dove tutto può essere raso al suolo e dove non c’è nessun posto sicuro dove poter prendere per pochi secondi il fiato prima di ritornare in azione, i movimenti di quadra che nella campagna in singolo sono assolutamente inesistenti, in Rete diventano uno dei fattori determinanti per la vittoria finale (e per la sopravvivenza individuale): durante una partita a “Corsa a squadre”, ad esempio, la differenza tra chi riesce a portare a casa la “bandiera” di turno (in questo caso, una stazione M-com fissa) e chi rimane inesorabilmente a bocca asciutta non la fa solamente l’esperienza e la conoscenza della mappa in questione, ma anche la capacità di organizzazione interna della squadra in cui si milita, poichè a determinati livelli di “frenesia” solo un’ottima interpretazione dei segnali “lanciati” dal campo di battaglia porta un gruppo a cementificarsi e ad ottenere di conseguenze delle vittorie.

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GRAFICA E SONORO

Dal punto di vista squisitamente tecnico, l’aggettivo che riesce a riassumere meglio di altri Bad Company 2 è “mastodontico”: pur riutilizzando il motore grafico del precedente episodio, il Frostbite Engine, i ragazzi della sussidiaria svedese di Electronic Arts sono riusciti nell’impresa di migliorarsi in ogni ambito. Sia su PC che nella doppia versione X360-PS3 la ricchezza di dettagli grafici suscita un vero e proprio senso di sbigottimento: texture ad altissima risoluzione, personaggi meravigliosamente caratterizzati, effetti volumetrici da urlo e, soprattutto, un’ampiezza ed una profondità di campo dello sfondo da togliere il respiro. Le uniche negatività che abbiamo riscontrato in tal senso sono la pochezza di talune animazioni (provate a mirare con il binocolo cercando di imbracciare subito dopo un’arma) e la scarsa risoluzione delle superfici porose (il cemento dei fabbricati e l’asfalto su tutti), ma per il resto possiamo dirci pienamente soddisfatti di ciò che è stato fatto per rallegrare i nostri esigentissimi occhi.

Di analogo tenore sono le considerazioni in cui possiamo lanciarci per giudicare la componente sonora: sulla falsariga dell’antesignano, ad esempio, le scene di intermezzo di Bad Company 2 ci regalano gustosi siparietti in cui i membri della sgangherata compagnia “B” discutono sul da farsi con l’atteggiamento di chi sta preparando un pic-nic primaverile piuttosto che l’assalto suicida ad un bunker inespugnabile. A tutto questo (e al magnifico doppiaggio italiano) aggiungete la splendida scelta dei brani di accompagnamento ed il lavoro certosino nel campionare quanti più suoni possibile per dare ad ogni azione il crisma di un vero combattimento, ed ecco quindi come ci si può facilmente rendere conto di quanto lavoro sia stato compiuto da DICE nel plasmare artisticamente Bad Company 2.

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COMMENTO FINALE

Battlefield: Bad Company 2 riesce a soddisfare le attese dei videogiocatori affamati di sparatutto innovativi, limitandosi però a migliorare quanto fatto col precedente episodio senza alcun criterio stilistico, se non quello dell’aggiornamento grafico agli standard qualitativi odierni.

A conti fatti, la campagna in singolo rappresenta una grandissima occasione sprecata da DICE per portare la propria creatura ai livelli della concorrenza diretta (Modern Warfare 2) nonostante alcuni fattori giochino indiscutibilmente a suo vantaggio (primo fra tutti il motore fisico), contribuendo così a rendere unica l’offerta videoludica propostaci dalla sussidiaria svedese di Electronic Arts.

Proprio per i motivi che vi abbiamo elencato in questa recensione, chi è alla strenua ricerca di un ottimo sparatutto multigiocatore e, nonostante tutto, di una campagna in singolo mediamente longeva e comunque gustosa nel suo complesso, troverà certamente in Battlefield: Bad Company 2 un validissimo prodotto d’intrattenimento spicciolo che, pur rimanendo saldamente ancorato ai fattori “classici” della serie, riesce ad innovarsi quel tanto che basta da rendersi adatto a qualsiasi palato videoludico.

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Cosa ci piace

Cosa non ci piace

  • Grafica e fisica da urlo
  • Il ritmo frenetico del multiplayer
  • I folli discorsi dei membri della compagnia “B”
  • Assenza totale di modalità cooperative
  • L’intelligenza artificiale dei nemici
  • La limitata libertà di movimento nel singleplayer

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