Dragon Age II: la recensione

A distanza di diciotto mesi circa dalla pubblicazione di Dragon Age: Origins, i ragazzi dell’ormai storica casa di sviluppo canadese di BioWare sono pronti a sconvolgere ancora una volta il multisfaccettato universo dei giochi di ruolo di stampo occidentale con questo nuovo capitolo della loro giovane saga fantasy.

La spasmodica voglia degli appassionati di ritornare nel Thedas per combattere contro Golem di pietra e demoni fiammeggianti ha spinto la famosa sussidiaria nordamericana di Electronic Arts a velocizzare i lavori per ritornare celermente dal loro sconfinato e fedele pubblico: grazie all’immensa esperienza maturata in questi anni nel campo dei GDR inanellando un successo dietro l’altro (da Mass Effect a Kinghts of the Old Republic, la lista è infinita), Ray Muzyka e compagni hanno intelligentemente accantonato la linea narrativa e del precedente episodio della serie per abbracciare, con un coraggio dimostrato solo dai grandi sviluppatori, un progetto legato solo marginalmente al suo diretto antesignano.

Come cercheremo di capire subito dopo la pausa attraverso questa recensione, tale scelta si riverbera sulle meccaniche di gioco e sull’avventura nel suo complesso al punto tale da indurci a considerare Dragon Age II non un seguito vero e proprio ma una sorta di “spin-off maggiore”, con tutte le conseguenze che potete facilmente immaginare in termini di innovazione (e dei conseguenti rischi corsi con chi ha adorato l’impostazione di Origins…).

LA STORIA SIAMO NOI

Cronologicamente parlando, la trama di Dragon Age II corre parallelamente al Quinto Flagello che tanto ci ha fatto penare in Origins e, con una serie di espedienti letterari che vi spiegheremo tra poco, compie dei salti ciclici in un lasso di tempo che, per tutta la durata del gioco, coprirà all’incirca dieci anni: con un vero e proprio colpo di teatro, infatti, i ragazzi di BioWare decidono di accantonare il discorso dell’eterna lotta tra le forze del bene (Templari, Custodi Grigi e quant’altro) e quelle del male (i figli della Prole Oscura) per raccontarci, in un modo decisamente meno epico ma comunque dannatamente interessante, le gesta del futuro Campione di Kirkwall attraverso le parole di un suo vecchio amico, il nano Varric.

Interrogato dall’Inquisitrice Cassandra per capire i motivi che hanno spinto ile genti del Thedas sull’orlo di una sanguinaria guerra civile, il simpatico Varric inizia così a spiegare alla sua pericolosa interlocutrice come tutto ha avuto inizio attraverso una serie di flashback che, dal Prologo sino all’Epilogo, saremo in grado di rivivere videoludicamente (e plasmare narrativamente) nei panni di Hawke. Differentemente da Origins, perciò, l’editor del personaggio sarà molto meno libero, ci obbligherà ad utilizzare un eroe umano consentendoci di sceglierne solamente il sesso, il nome (ma non il cognome) e pochi valori caratteristici di una tra tre specializzazioni (Mago, Ladro e Guerriero).

La mancanza di opzioni in fase di editor viene però immediatamente compensata dalla ricchezza di dettagli narrativi, una qualità che acuisce la bontà della trama col passare delle ore di gioco: la rigidità degli eventi del prologo (modificabili solo marginalmente) ha garantito agli sviluppatori uno spazio di manovra incredibilmente ampio nel prosieguo della storia per arricchire di dettagli le missioni principali e secondarie, rendendo ancor più fedeli e profondi i rapporti tra l’eroe e gli altri membri del team e gli intrecci sociali tra le varie “gilde” con cui entreremo in contatto tra le quattro mura di Kirkwall, la città-stato portuale in cui Hawke e la sua famiglia troveranno rifugio e si rifaranno una vita dopo essere riusciti a scappare alla distruzione di Lothering avvenuta ad opera della Prole Oscura.

Il ventaglio di informazioni modificabili autonomamente con le proprie azioni è così ampio e lampante anche per via della scelta, compiuta volontariamente dai ragazzi di BioWare, di ambientare il titolo su di un’area relativamente molto ristrezza: quasi in tutte le 45-50 ore di gioco che in media vivremo prima di giungere ai titoli di coda, infatti, ci muoveremo solo tra i quartieri di Kirkwall, i suoi palazzi del potere e i luoghi dei Liberi Confini nelle immediate vicinanze.

Dragon Age II: galleria immagini

KIRKWALL RECLAMA IL SUO EROE

Se l’intera implacatura di gioco di Origins tradiva uno sviluppo orientato quasi esclusivamente alla piattaforma PC, con Dragon Age II gli sviluppatori di BioWare hanno scelto di assecondare la mutata impostazione narrativa per plasmare dei menù tutti nuovi e un sistema di combattimento reinventato da zero, incentrato più sulla velocità d’esecuzione dei colpi che sullo studio strategico dei nemici sul campo di battaglia. Ma andiamo con ordine e cominciamo ad analizzare i cambiamenti apportati ai vari menù di gioco.

In maniera del tutto analoga ai menù di Mass Effect 2, in Dragon Age II il sistema di potenziamento dei singoli membri della squadra rappresenta la voce più importante di un menù radiale da cui poter gestirne le Caratteristiche, le Capacità, le Tattiche e le Resistenze. All’interno della sotto-categoria delle Caratteristiche troviamo indicati in una scala numerica i valori di forza, destrezza, magia, astuzia, volontà e costituzione che, come ogni buon GDR occidentale che si rispetti, veicolano a pioggia tutti gli altri attributi dell’eroe in base alla peculiare specializzazione (per i Ladri, ad esempio, l’astuzia determina la bravura nello scassinare o nel disinnescare le trappole, mentre per i Maghi quella stessa caratteristica va semplicemente ad indicare il livello di danni assorbiti con i colpi dalla lunga distanza).

Sulla stessa lunghezza d’onda delle Caratteristiche troviamo la categoria delle Capacità, all’interno della quale troviamo strutturata una serie di sei “mini-specializzazioni” (più altre tre per i maghi) che, in una gradevole forma stilizzata ad albero, permette al giocatore di sbloccare attacchi da corta e lunga distanza, oltre a una serie di capacità ad effetto “diffuso” (utili a tutti il gruppo) e “passivo) (destinate a potenziare le altre capacità di una determinata specializzazione).

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Identiche in tutto e per tutto a quelle di Origins troviamo poi le categorie delle Resistenze (indica la percentuale di danni assorbiti dai personaggi del team) e quella delle Tattiche, grazie alla quale possiamo gestire il comportamento degli altri membri del gruppo nei momenti della battaglia in cui sono comandati dall’intelligenza artificiale (permettendoci quindi di concentrarci sui nemici senza dover impostarne manualmente gli attacchi e le opzioni di difesa). Anche l’inventario è essenziale e vicino esteticamente (ma non nei contenuti) a quello degli MMORPG, mentre per quanto riguarda il diario notiamo con estremo piacere l’opera di riorganizzazione attuata dagli sviluppatori per renderlo più fruibile e meno caotico di quello del precedente capitolo della saga.

Il lavoro svolto sui menù e sull’infinito dedalo di sotto-categorie non è però fine a se stesso come nella stragrande maggioranza dei titoli analoghi, ma segue di pari passo il cambiamento attuato sul sistema di combattimento. Come vi abbiamo accennato in precedenza, in Dragon Age II gli scontri assumono un ritmo mai visto nel suo diretto predecessore, rappresentando in questo modo un ruolo determinante nell’economia di gioco nel suo complesso. Accompagnati da una visuale non più “simil-isometrica” ma in terza persona, i combattimenti riescono ad essere mostruosamente frenetici sia perchè i nemici colpiscono in gruppo e non più uno alla volta, sia perchè il metodo scelto per rappresentare gli attacchi è sorretto da animazioni fluide e variegate.

A rendere ancor più profondo questo meccanismo ci pensano poi gli attacchi d’area e le opzioni raggiungibili dal menù di battaglia circolare selezionabile su console con il trigger laterale sinistro: sia nel primo che nel secondo caso, infatti, il tempo di gioco si ferma momentaneamente per permetterci di studiare il campo di battaglia, di curare le ferite, di lanciare magie o attacchi “fisici” (come una raffica di frecce, ad esempio) e di piazzare bombe e trappole. Quest’ultima opzione, integrata perfettamente nel sistema di combattimento, risulta essere di vitale importanza se si sceglie di intraprendere l’avventura a un livello di difficoltà superiore al Normale: contro gli avversari più ostici o le ondate di nemici, infatti, l’unico modo per sopravvivere è quello di mitigare gli effetti dei loro colpi studiando alla perfezione le capacità dei singoli membri del proprio gruppo per impostare tattiche complesse alternando le fasi d’attacco a quelle di difesa (e di rigenerazione dell’energia e del Mana).

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PC E CONSOLE HD: LE DIFFERENZE

La rimodulazione totale dell’esperienza di gioco, delle dinamiche di sviluppo della narrazione e del sistema di combattimento avvicinano la saga di Dragon Age all’universo delle console ad alta definizione ben più di quanto sia riuscito a fare il precedente capitolo. Tanto per cominciare, su PC è stata completamente abbandonata la visuale tattica che, dall’alto, consentiva all’utente di abbracciare una porzione estesa della mappa di gioco per ponderare le strategie di combattimento: tale scelta è stata dettata sia dalla necessità di BioWare di velocizzare i tempi di sviluppo, sia dalla volontà di enfatizzare la bellezza estetica e grafica degli ambienti di gioco.

Mentre su Xbox 360 e PlayStation 3 la visuale in terza persona è fissa e non può essere in alcun modo variata (se non nell’angolazione), poi, su PC tale limitazione viene parzialmente mitigata dalla presenza di un’opzione per allargare la schermata attraverso lo zoom della telecamera che, comunque, continuerà ad essere sempre dietro alle spalle del membro del team selezionato.

Anche i comandi durante le fasi di combattimento e, per certi versi, i movimenti sono gestiti in modo leggermente diverso sull’una e sull’altra versione del titolo: se su console HD il lancio degli incantesimi e gli attacchi da corta e lunga distanza sono selezionabili attraverso i sei comodissimi slot dell’interfaccia di battaglia, su PC la presenza di mouse e tastiera permette all’utente di assegnare le singole capacità (siano esse offensive o difensive) su ogni tasto, e di spostare con estrema precisione la sfera d’influenza degli attacchi d’area. Sempre su PC, inoltre, è possibile ordinare attacchi continuativi senza dover necessariamente premere più e più volte lo stesso tasto: su console, invece, l’assenza di questa opzione tende a mortificare i combattimenti ai livelli di difficoltà più bassi, trasformando le battaglie in vere e proprie sessioni hack & slash.

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GRAFICA E SONORO

Chi adora i titoli BioWare sa quanto sia difficile interpretarne il comparto grafico slegandolo dal contesto narrativo e squisitamente “emotivo” dell’opera nel suo insieme: se con Kinghts of the Old Republic o Jade Empire l’utilizzo massivo degli effetti particellari serviva a rendere indimenticabili le sessioni esplorative, e se con Mass Effect la caratterizzazione estrema dei volti dei personaggi costituiva uno step fondamentale per dare ai dialoghi un tenore qualitativo simil-cinematografico, con Dragon Age II la sussidiaria canadese di Electronic Arts adotta una visuale più stringente e un marcato sistema di illuminazioni fisse e dinamiche per caratterizzare gli ambienti di gioco e renderli diversi nel corso dell’avventura.

I dieci anni che passeremo dentro e fuori le mura ciclopiche di Kirkwall, infatti, saranno meravigliosamente rappresentati da una palette cromatica e da elementi architettonici mutevoli nel tempo. Le scelte che compiremo liberamente nei dialoghi e nella scelta delle missioni secondarie avranno conseguenze dirette sul design dei vari settore della città: piante rampicanti domineranno la Chiesa nel quartiere nobile se decideremo di trascurarne i suoi affari, la ruggine mangerà i bassorilievi all’entrata della Forca o della città inferiore se non sederemo le rivolte dei Qunari o degli Elfi, e via di questo passo. Cercando però di scremare i giudizi estremamente positivi sulle dinamiche della narrazione principale per concentrarci esclusivamente sul comparto tecnico, non possiamo non citare le grezze texture a bassa definizione che mappano il corpo e le armature dell’eroe e dei suoi accoliti, la scarsa fedeltà degli ambienti di gioco esterni (grotte escluse), il precario framerate nelle battaglie più concitate e la netta differenza qualitativa negli effetti particellari (stupendi su PC, scialbi su console HD). Una menzione d’onore, poi, spetta alle scermate di caricamento, delle vere e proprie opere d’arte in movimento artisticamente superiori persino rispetto a quelle (indimenticabili) di Mass Effect 2.

Ben più alto è invece il voto che diamo virtualmente al comparto audio di Dragon Age II. Nonostante la mancanza del doppiaggio in italiano, infatti, il tenore qualitativo del parlato in madrelingua è incredibilmente alto (specie per Hawke e, soprattutto, Varric), e la colonna sonora riesce a seguire dinamicamente le vicende del Campione di Kirkwall e della sua cricca tanto da accentuarne sia le fasi d’esplorazione pura che le frenetiche sessioni di combattimento.

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COMMENTO FINALE

Nel poco tempo a loro disposizione, i ragazzi di BioWare hanno compiuto un vero e proprio miracolo: esteticamente e “storicamente” consanguineo di Origins, Dragon Age II prende le distanze dal suo gemello attraverso un sistema di combattimento mostruosamente veloce e una trama cucita ad arte in uno splendido vestito che, calzando alla perfezione sul corpo del protagonista principale, muta il destino di Hawke e delle genti di Kirkwall.

La scelta degli sviluppatori canadesi di ridurre all’osso la gestione ruolistica dei membri della squadra e le possibilità di personalizzazione di Hawke è però un azzardo destinato a disorientare parecchi appassionati, scontentandone altrettanti che, a ragione, vedranno in questo titolo un pesante esercizio di “consolificazione” di una saga nata su PC.

Comunque la pensiate al riguardo, Dragon Age II è il prototipo di una tipologia tutta nuova di giochi di ruolo di stampo occidentale, una generazione di progetti in cui la parte narrativa e la giocabilità spicciola perdono gradualmente qualsiasi “tecnicismo” e s’intrecciano senza soluzione di continuità per fondersi in un unico prodotto capace di evolversi al volere del giocatore, crescendo sempre più in intensità ma senza mai offrire sfide troppo complicate o difficili da portare a termine.

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Cosa ci piace
Cosa non ci piace
  • Narrazione solida e ben strutturata
  • Il ritmo frenetico dei combattimenti
  • Le relazioni tra Hawke e il suo gruppo
  • Longevo e appassionante come pochi
  • Texture e scenari esterni migliorabili
  • Ambienti di gioco alla lunga ripetitivi
  • La semplificazione degli aspetti ruolistici
  • Troppi caricamenti

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