Kingdoms of Amalur: Reckoning - la recensione

Kingdoms of Amalur: Reckoning - l'ultima creatura di Ken Rolston e Todd McFarlane recensita per voi da Gamesblog.it
Kingdoms of Amalur: Reckoning - l'ultima creatura di Ken Rolston e Todd McFarlane recensita per voi da Gamesblog.it

Annunciato nell’estate dello scorso anno da Electronic Arts come un progetto destinato a portare una ventata di freschezza nel genere dei giochi di ruolo occidentali, Kingdoms of Amalur: Reckoning è finalmente pronto a scendere nell’agone videoludico per fare un po’ di sana concorrenza interna ai ragazzi di BioWare e, ovviamente, per soddisfare le richieste e le aspettative della vasta platea di appassionati.

Il cast stellare di programmatori, autori e designer messo in piedi da EA per cercare di ritagliarsi uno spazio più ampio nel mercato elitario e sempre più esigente dei GDR “sandbox” dà il senso dell’importanza di questa nuova proprietà intellettuale: a capo del doppio team dei Big Huge Games e dei 38 Studios troviamo infatti Todd McFarlane (creatore del comic Spawn), Robert Anthony Salvatore (celebre scrittore di libri fantasy statunitense nonché autore dei Forgotten Realms di Dungeon & Dragons) e Ken Rolston (storico capo designer di Oblivion e Morrowind).

Dal sistema di combattimento mutuato dagli action orientali alla componente narrativa aperta, passando per il colorato universo fantasy del comparto grafico e artistico, di elementi da analizzare ce ne sono davvero parecchi. Senza indugiare oltre, vi lasciamo perciò alla nostra recensione di Kingdoms of Amalur: Reckoning nella speranza di offrirvi un punto di vista chiaro ed esaustivo sulla nuova avventura di Ken Rolston e compagni.

LAZZARO E IL DESTINO DI AMALUR

Nonostante i lavori pregressi delle figure di spicco del doppio team di sviluppo messo insieme da EA tra gli studi americani di Big Huge Games e dei 38 Studios, Kingdoms of Amalur: Reckoning non si rifà a nessun videogioco preesistente né ad altre opere artistiche, cinematografiche o letterarie che siano. Si tratta perciò di un’opera nuova di pacca, di un progetto che affonda le proprie radici narrative in una terra vergine non ancora esplorata ma resa fertile da un impetuoso fiume sotterraneo alimentato in questi ultimi anni da avventure fantasy come Fable (per quanto riguarda il gioco in singolo) o come World of Warcraft (per ciò che concerne il multiplayer).

L’accostamento con le vecchie glorie del passato si fa forte sin dalla battaglia tra gli umani e i Fae mostrata nel trailer in cinematica che, assieme al breve preambolo seguente, dà il via alla trama della campagna principale con protagonista il più classico degli eroi senza nome chiamato in causa dalle popolazioni locali per adempiere alla più nobile (e scontata) delle missioni, ossia quella di riportare la pace e la serenità nella Faelandia, il cuore pulsante del continente di Amalur. Spenta da una battaglia dall’esito ormai scritto (i nemici, una volta uccisi, dopo qualche giorno hanno la brutta abitudine di reincarnarsi in nuovi combattenti), la speranza degli uomini viene perciò riaccesa dal baldo giovanotto (o dalla dolce donzella, fate vobis) che dovremo interpretare e guidare per tutta la durata dell’avventura.

Accortosi di essere misteriosamente resuscitato dopo un simpatico risveglio dalla cima di una pila di cadaveri ammucchiati all’interno di una caverna adibita a fossa comune da un gruppo di nani minatori, l’eroe senza nome di Reckoning è l’unico essere umano, dopo millenni di buio in una dimensione fatta di eventi già scritti e di vite senza anima, che in qualità di “redivivo” può sfuggire al responso dei Tessitori (gli appartenenti alla locale gilda di veggenti-indovini) e può quindi tessere la trama del proprio Destino senza sottostare a niente e a nessuno.

Grazie a questa trovata narrativa degli autori capitanati da R.A. Salvatore, la trama di Kingdoms of Amalur: Reckoning vede il nostro protagonista combattere una doppia battaglia contro gli esseri soprannaturali che rischiano di spazzare via il genere umano e, quindi, contro il destino che le divinità del posto hanno già scritto per tutte le creature viventi della loro dimensione. Il nostro personaggio, quasi come l’omologo eroe senza nome di Morrowind, non ha passato né futuro e perciò vive esclusivamente nel presente per convivere con gli eventi che, di volta in volta, lo vedranno al centro di avventure sempre diverse.

L’infinito dedalo di missioni secondarie, reso ancora più importante dall’assenza di una linea narrativa predominante, rappresenta l’anima centrale dell’esperienza di gioco ma, al tempo stesso, costituisce il problema principale dell’intera opera. A prescindere dalla varietà, dalla bontà e dal numero dei compiti affidatici, la mancanza di una “vera” campagna principale deprime quel senso di immedesimazione e di “attaccamento” necessario per spingere gli utenti a proseguire nell’avventura senza avvertire il fastidio della ripetitività e della noia: tutto questo, oltretutto, viene ulteriormente accentuato dalle sbavature grandi e piccole della giocabilità e dell’impalcatura ruolistica deputata a gestire le classi, il crafting e la trama.

Kingdoms of Amalur: Reckoning - galleria immagini

ORCHI, MOSTRI E BESTIE FEROCI DELLA FAELANDIA

Descritto in questi mesi dagli sviluppatori come il migliore, il più attraente, il più adrenalinico, il più tattico e il più emozionante che si sia mai visto in un gioco di ruolo, il sistema di combattimento di Kingdoms of Amalur: Reckoning è un esperimento audace che cerca di coniugare la fluidità degli action orientali e la “complessità” delle avventure occidentali in un’unica soluzione. E ci riesce, ma solo in parte.

La soddisfazione restituita dalle veloci combo effettuabili con spadoni, archi, asce bipenne, bastoni, scettri e chakram, infatti, viene penalizzata dalla scarsa intelligenza artificiale degli avversari (specie quella dei boss maggiori e delle creature più grandi), dall’altrettanto deludente gestione della telecamera con le “inquadrature di battaglia” e dai grossolani glitch che bloccano il personaggio a mezz’aria o all’interno del terreno dopo aver effettuato un attacco speciale (un semplice “bullet-time” per acquisire punti esperienza aggiuntivi) e che, di conseguenza, obbligano l’utente a ricaricare l’ultimo salvataggio.

La scelta degli sviluppatori di mantenere sempre aperta la gestione di ogni classe, dettata dalla necessità di forzare l’eroe a piegare a proprio piacimento il destino senza alcuna limitazione, finisce oltretutto con lo svilire pesantemente il lavoro compiuto per interpretare gli scontri all’interno dell’universo di gioco di Reckoning: anche in presenza di un elevato numero di mosse e di abilità, queste ultime perdono velocemente fascino per la scelta esageratamente ampia data all’utente sin dalle prime ore dell’avventura. Per Ken Rolston e compagni, la longevità complessiva del titolo dovrebbe superare abbondantemente le 200 ore: un valore oltremodo ottimistico se consideriamo che dopo sole 5 ore, anche al più alto livello di difficoltà, si riesce a sperimentare già qualsiasi tipo di arma, e che ne bastano appena 15 per sbloccare la maggior parte delle mosse.

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Potendo scegliere il suo destino, infatti, il personaggio interpretabile può specializzarsi in qualsiasi arte e cambiare a piacimento la propria “classe” sin dai primissimi livelli attraverso un intreccio di Carte del Destino (appunto) e di Punti Abilità da spendere nella schermata delle Capacità: le prime, sostituibili in qualunque momento (a patto di soddisfare le richieste necessarie per sbloccare le singole carte del mazzo), donano all’eroe dei bonus di Forza, Magia e Destrezza, mentre i secondi si accumulano ad ogni passaggio di livello per essere utilizzati in mosse, abilità e incantesimi di vario tipo.

Questa eccessiva e gratuita “libertà” prende le sembianze dei Tessitori sparsi per la mappa, ossia degli sciamani ai quali rivolgersi per azzerare e riallocare i valori del protagonista: i puristi del genere storceranno non poco il naso constatando con quanta facilità sarà possibile, nel continente di Amalur, ritrasformare da zero il proprio alter-ego senza subire malus che non vadano oltre il semplice esborso di una quantità esigua di monete.

A nostro avviso, c’è poi un’altra grave lacuna nelle meccaniche di gioco di Reckoning che vogliamo evidenziare ed è quella rappresentata, purtroppo, dalla scarsa complessità del modulo ruolistico: anche in questo caso, come per il sistema di combattimento, il crafting legato al sistema di creazione di armi, armature e cristalli è a dir poco abbozzato, con una netta sproporzione in favore del looting e degli oggetti unici trovati all’interno dei tanti (troppi) forzieri e contenitori sparsi per la mappa, molti dei quali chiusi con lucchetti (fisici o magici) scassinabili con un doppio minigioco di una semplicità disarmante, in certi casi persino offensiva (a che serve spendere punti nell’abilità Scasso se anche ai livelli più bassi, e senza alcuna specializzazione, bastano due grimaldelli per aprire in tre secondi dei forzieri con lucchetti “difficili”?).

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GRAFICA E SONORO

Affidata agli artisti al seguito di Todd McFarlane, la componente grafica di Kingdoms of Amalur: Reckoning mostra anch’essa delle sbavature ma, a giudicare dalla bellezza delle ambientazioni e della linea artistica sobria e colorata data ad ogni elemento osservabile a schermo, rappresenta senza alcun dubbio l’aspetto meglio riuscito dell’intera opera. Vicini esteticamente a Fable, i luoghi esplorabili della Faelandia superano in estensione e in varietà quelli del capolavoro di Peter Molyneux anche se, purtroppo, la ripetitività dei biomi naturali esterni e delle grotte di Reckoning non offre punti di riferimento e scorci meritevoli di essere ricordati (specie considerando i lunghi caricamenti da sorbirsi al passaggio tra le varie aree): nonostante qualche luminosa eccezione, tutto sembra ripetersi all’infinito e regala uno sgradevole e perenne senso di deja-vu che diventa sopportabile solo al susseguirsi del giorno e della notte o, meglio ancora, al passaggio da una regione all’altra del continente di Amalur.

I balbettii che hanno caratterizzato gli altri aspetti del progetto, grazie al cielo, nel comparto audio di Reckoning diventano una dolce sinfonia che conforta il giocatore e lo accompagna con brani ad effetto, con ricchi suoni ambientali e con soddisfacenti dialoghi in inglese dotati di sottotitoli italiani “alla Risen” (solo testo, una scelta classica che ci evita i pesanti orpelli scenici delle soluzioni più moderne e che naturalmente apprezziamo con gusto).

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COMMENTO FINALE

Più che a capolavori come Skyrim o The Witcher 2, l’ultima fatica di Ken Rolston e compagni sembra aver tratto ispirazione dal primo capitolo di Risen o, peggio ancora, da Two Worlds 2: alla frenesia dei combattimenti fa infatti da triste contraltare una blanda caratterizzazione ruolistica e narrativa, con quest’ultima a perdere ulteriormente terreno in mancanza di una trama solida, di un qualsivoglia meccanismo di gestione della moralità e dalla presenza di un’eccessiva libertà nella scelta delle classi (e quindi dell’allineamento caratteriale ed emotivo del proprio eroe, in grado di passare dal ruolo di un pacifico mago a quello di un ladro incallito senza che i personaggi non giocanti reagiscano a un simile cambiamento).

Nella dimensione fantasy di Kingdoms of Amalur: Reckoning, la customizzazione spinta dell’esperienza di gioco ha deformato i canoni sacri a cui ogni buon GDR occidentale deve attenersi, come la lenta gradualità nella scoperta dei contenuti e la necessità di adottare espedienti narrativi in grado di smuovere le coscienze degli appassionati con colpi di teatro inattesi e cambiamenti repentini. Considerando la volontà di Electronic Arts di proseguire la saga negli anni a venire, speriamo almeno che nel mare di recensioni smielate e acritiche che verranno pubblicate in questi giorni sui siti di settore, la nostra voce di dissenso aiuti i 38 Studios e i Big Huge Games a intraprendere la strada giusta.

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Cosa ci piace
Cosa non ci piace
  • Combattimenti fluidi e divertenti
  • Gameplay vario e personalizzabile
  • Artisticamente ispirato
  • Trama appena abbozzata
  • Elmenti GDR troppo semplificati
  • Grafica migliorabile

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