Wolfenstein: The Old Blood - la recensione

Gamesblog vi propone la recensione dell'ultimo sparatutto a tinte oscure di MachineGames
Gamesblog vi propone la recensione dell'ultimo sparatutto a tinte oscure di MachineGames

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In un mercato videoludico così mostruosamente competitivo come quello degli sparatutto (siano essi in prima o in terza persona), basta commettere un piccolo passo falso per decretare la fine improvvisa di progetti multimilionari e la chiusura definitiva di intere epopee: Haze, Turok, Prey, Medal of Honor, Red Faction, SOCOM, Interstellar Marines, StarCraft Ghost… la lista dei caduti in battaglia è davvero lunga e continua a ricevere degli impietosi aggiornamenti (qualcuno ha detto Evolve?).

L’ondata di estinzioni di massa che sta scuotendo il settore degli sparatutto, però, ha contribuito a far riemergere dalle profondità dell’oceano il mostro ancestrale della serie di Wolfenstein con il progetto di The New Order, un capolavoro pulp che è riuscito a calamitare le attenzioni degli appassionati vecchi e nuovi di questa antica disciplina videoludica con un sistema di gioco votato all’immediatezza ma profondo e ricco di sfumature narrative.

Il recente approdo in forma pacchettizzata dell’espansione a se stante di The New Order, il prequel Wolfenstein: The Old Blood, ci offre così l’opportunità di calarci nuovamente nei panni di B.J. Blazkowicz per proporvi la nostra autorevolissima recensione di un titolo destinato, in un modo o nell’altro, a scrivere una delle pagine più importanti della storia recente dei videogiochi.

COSA CI PIACE

Gunplay “vecchia scuola”

Le dinamiche sparatutto di Wolfenstein: The Old Blood riprendono ed evolvono il concept alla base delle meccaniche FPS di The New Order, e questo nonostante l’espansione (perchè di questo si tratta) ci venga proposta da Bethesda come titolo a se stante da giocare indipendentemente dal progetto originario dato alla luce nel 2014 su PC e console current-gen sotto l’egida degli stessi autori svedesi di MachineGames.

Gli elementi di innovazione pura che vanno a intrecciarsi alla formula sparatutto “classica” di The New Order, però, sono quasi assenti e questo non per un errore di progettazione commesso dagli sviluppatori o per delle problematiche legate all’esiguo budget a loro disposizione per dare forma a questo titolo, ma più semplicemente per evitare degli stravolgimenti al gunplay che, con ogni probabilità, avrebbero indispettito più di un fan determinando il fallimento dell’intera iniziativa.

Nel solco di questa “evoluzione silenziosa” si inseriscono così i miglioramenti all’equipaggiamento e la maggiore varietà di armi e di strumenti da utilizzare nel corso della storia, ad esempio con l’introduzione delle armi bianche (coltelli, tubi e bastoni) per aggiungere un pizzico di imprevedibilità alle sessioni stealth e alle fasi esplorative, così come con l’aggiunta dei fucili bolt-action, del lanciagranate Kampfpistole e dei fucili con mirino telescopico.

Con Wolfenstein: The Old Blood, quindi, il fascino inossidabile degli sparatutto “vecchia scuola” è rimasto inalterato e di questo non possiamo che esserne felici.

L’alternanza tra action e stealth

Il sistema di gioco di Wolfenstein: The Old Blood si alimenta dello splendido dualismo tra fasi action e stealth che tante gioie ha donato agli emuli di B.J. Blazkowicz nel tunnel psicologico di sangue e polvere da sparo rappresentato visivamente dagli scenari distopici di The New Order.

L’alternanza tra le sessioni sparatutto e i frangenti stealth trova giustificazione nella trama elaborata dagli autori di MachineGames per catapultarci indietro nell’anno 1946 e mostrarci, attraverso lo stratagemma narrativo dell’ucronia, gli eventi che condurranno all’invasione dell’Occidente da parte delle truppe naziste che avrà luogo tra le quattro mura virtuali di The New Order.

La netta suddivisione in sottocapitoli dei due filoni narrativi seguiti dalla campagna singleplayer di The Old Blood offre così situazioni sempre diverse da vivere scegliendo, di volta in volta, l’approccio da adottare e il percorso da seguire per avere la meglio su cani cibernetici, robot colossali a guardia di prigioni con reti difensive elettrificate, alti gerarchi armati di fucili a energia diretta e zombie acefali che non esiteranno a scagliarsi contro il povero Blazkowicz.

La prima parte dell’avventura, da questo punto di vista, risulta essere la più godibile dagli “spiriti liberi” che amano spezzare la frenetica azione di gioco offerta dalle fasi sparatutto con delle sane escursioni nello scenario adottando un approccio silenzioso per immedesimarsi nel proprio alter-ego e aggiungere un pizzico di pepe alla storia.

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L’ottimo rapporto qualità/prezzo

I 20 euro richiesti da Bethesda per poter giocare a Wolfenstein: The Old Blood (su disco o in edizione digitale) sono così “equi” da riuscire nella paradossale impresa di trarre in inganno i potenziali acquirenti! La mole di contenuti proposti da questo titolo, infatti, supera ampiamente la soglia teorica dei contenuti che sarebbe lecito attendersi all’interno di un videogioco venduto ad un prezzo così concorrenziale.

Le 8-10 ore di gioco offerte dalla campagna principale dell’ultima fatica di MachineGames si allineano alla longevità media degli sparatutto moderni, e questo senza considerare il fattore rigiocabilità garantito dalla possibilità di approcciarsi alle missioni adottando uno stile diverso, alternando le fasi stealth a quelle action e cercando, così facendo, di esplorare tutte le aree segrete per sbloccare le armi più avanzate, del munizionamento supplementare e gli eventuali oggetti collezionabili lasciati per strada.

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Artisticamente ispirato

Il comparto grafico e artistico di Wolfenstein: The Old Blood mantiene gli alti standard qualitativi del sistema di gioco e degli altri elementi che concorrono a formare il titolo. Nonostante qualche leggera imprecisione nelle animazioni dei personaggi e nelle texture che mappano le superfici meno evidenti e i fondali in lontananza, l’id Tech 5 si comporta egregiamente e lascia ai designer della sussidiaria svedese di ZeniMax tutta la libertà e l’ispirazione necessaria per plasmare ambientazioni estremamente eterogenee, interni squisitamente dettagliati e nemici che, pur manifestando un’IA a volte deficitaria e involuta, si lasciano comunque apprezzare per la grande ricercatezza delle loro divise e armature.

Tecnicamente parlando, quindi, The Old Blood convince e coinvolge anche i meno avvezzi agli sparatutto in prima persona, grazie a una cura per i dettagli che farebbe invidia a molte produzioni maggiori e a una direzione artistica che, date le esigue risorse a disposizione dei MachineGames, può dirsi più che soddisfacente.

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COSA NON CI PIACE

Trama poco incisiva

La storia di The Old Blood, specie nei frangenti più avanzati della campagna principale, si perde in una melassa indistinta di luoghi comuni e di personaggi dai dialoghi scontati e didascalici. Le differenze rispetto al capitolo originario e alla sua platea di protagonisti imprevedibili e ricchi di carattere, da questo punto di vista, è netta e finisce con lo schiacciare la trama in una sequela di sottocapitoli legati gli uni agli altri solo dai collezionabili.

Se da un lato la suddivisione della storia di The Old Blood in due episodi distinti dà agli autori svedesi la possibilità di sperimentare soluzioni di gioco originali, infatti, dall’altro questa netta distinzione contribuisce a far perdere di incisività gli eventi che vedremo susseguirsi a schermo e lascia uno spazio esiguo alla costruzione dei villain e degli NPC: ciò che manca davvero, però, non sono dei personaggi carismatici ma un’adeguata progressione narrativa, che difatti risulta essere spezzettata e priva di mordente sia nel capitolo iniziale “Rudi Jäger e la Tana dei Lupi” che, soprattutto, nell’episodio finale “Gli Oscuri Segreti di Helga Von Schabbs”. Un vero peccato, se ripensiamo a quanto di buono è stato fatto dagli stessi MachineGames con la spumeggiante avventura di The New Order.

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Sessioni zombie mal calibrate

Nell’ottovolante di emozioni regalateci dai MachineGames con la storia di The Old Blood, il punto più basso dell’intera opera coincide inesorabilmente con l’avvento dei nazi-zombie e delle creature che popolano il villaggio di Wulfburg nei sottocapitoli del secondo episodio dedicato ad Helga Von Schabbs, una folle archeologa intenzionato a riesumare misteriosi manufatti intrisi di un potere antico e oscuro da mettere al servizio del Terzo Reich.

A fronte di un ottimo level design e di una pregevole rappresentazione visiva di scenari e nemici, il secondo atto di The Old Blood si piega alla dura legge dell’immediatezza e scade in un valzer di carne e sangue che poco o nulla a che spartire con la progressione ponderata della prima parte di questa espansione e, più in generale, dell’esperienza di gioco offerta dal titolo originario.

Tra i pittoreschi edifici di Wulfburg avvolti nelle fiamme, purtroppo, lo spazio concesso all’utente per esplorare liberamente le ambientazioni e sfruttare a proprio vantaggio il dualismo tra sessioni action e stealth si riduce a uno spiraglio. L’apparente frenesia della battaglia contro i nazi-zombie nasconde infatti un percorso a senso unico che l’utente, suo malgrado, deve seguire sparando all’impazzata sui corpi inermi di bersagli in putrefazione che ci fanno rimpiangere anche la più banale e lineare delle sparatorie contro i nazisti e i loro sgherri robotici a cui è possibile partecipare negli episodi precedenti della storia in singolo.

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CONSIDERAZIONI FINALI

A dispetto di qualche sbavatura riscontrabile nella costruzione della trama e nell’alternanza tra le diverse fasi action, esplorative e stealth che concorrono a plasmare l’esperienza di gioco di Wolfenstein: The Old Blood, l’ultima fatica di Bethesda e MachineGames riesce comunque ad offrirci un’ottima variazione sul tema degli sparatutto pulp e a regalare un sorriso ai cultori del genere.

Il sagace espediente narrativo utilizzato dagli autori svedesi suddividendo la campagna principale in due episodi indipendenti composti a loro volta da sottocapitoli caratterizzati da un specifico impianto di gameplay contribuisce a mitigare il fastidio causato dalla ripetitività delle sessioni action con gli zombie e l’oggettiva mancanza di elementi di innovazione rispetto alla formula adottata dagli stessi MachineGames con il progetto di The New Order.

La scarsa intraprendenza dimostrata dagli sviluppatori nordeuropei viene però ampiamente giustificata dalla mole di contenuti propostici e dall’ottimo rapporto qualità/prezzo di un titolo che merita di entrare a far parte della nostra ludoteca e che, alla luce delle analisi condotte nella nostra recensione, non possiamo che consigliarvi di acquistare sin da subito.

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