EA getta la maschera: in futuro microtransazioni sempre più invasive

Blake Jorgensen di EA conferma l'intenzione di spingere sull'acceleratore delle microtransazioni: «ai consumatori piacciono». Siamo dinanzi all'ultima frontiera del digital delivery?
Blake Jorgensen di EA conferma l'intenzione di spingere sull'acceleratore delle microtransazioni: «ai consumatori piacciono». Siamo dinanzi all'ultima frontiera del digital delivery?

«E i consumatori stanno gradendo ed abbracciando questo modello di business». Vogliamo partire proprio da qui, dalle dichiarazioni con cui Blake Jorgensen di Electronic Arts conclude il proprio intervento indiretto su Joystiq. È bene, se non fondamentale, che ogni videogiocatore decida di leggere con attenzione quanto segue; non perché si tratta di righe scritte di nostro pugno. È necessario che l’orda di famelici appassionati/acquirenti/consumatori si pongano tali problemi, specie in relazione a quelli più giovani, quelli che per ora sono costretti a tirare la giacca di papà o mammà per acquistare l’ultimo mega-titolo al dei-uan.

Le esternazioni di Jorgensen, diciamolo subito, non scandalizzano, né ci sorprendono. Essenzialmente il CFO di EA avverte che la prossima frontiera della diffusione di contenuti online sarà quello delle microtransazioni all’interno dei giochi stessi. Volete accedere al prossimo livello, ad un’abilità in particolare? Niente di più semplice. Anziché tornare alla schermata principale e procedere con la solita manfrina, “finalmente” (sic) potrete fare tutto in tempo reale, un po’ come quando vi tocca assegnare i vari punti esperienza acquisiti in un qualunque RPG occidentale. Bello, no? No, nient’affatto. Dopo il salto tentiamo di spiegarvi il perché.

Era il 2007 quando Phil Harrison, allora in forza a Sony Computer Entertainment Worldwide Studios, dichiarava apertamente che il futuro della distribuzione dei videogiochi si sarebbe totalmente riversata sulla digital delivery. Esatto, volgarmente “consegna digitale”, come avviene con la pizza. «A breve i giochi verranno spezzettati e venduti un pezzo alla volta mediante canali digitali»; suonavano più o meno così le trombe di Harrison.

In altre parole, man mano che si progredisce con la trama, la parte successiva vi toccherà acquistarla. Immaginate di entrare in un nuovo dungeon, dopo avere farmato a dismisura. Siete pronti, sapete che dietro quella porta vi attende un’avventura carica di fascino, di mistero e (perché no?) di pericoli. Avete disposto tutto nel migliore dei modi: armi ed accessori sono equipaggiati con cura, mentre attendete con ansia di conoscere cosa vorrà mai da voi il demone della radura. Ma prima vi toccherà affrontare sfide tremende, situazioni burrascose, in un susseguirsi di… no, niente di tutto ciò. Procedere-prima-con-l’acquisto-dell’episodio-successivo-sono-8-euro-carta-di-credito-o-punti?-grazie!

Capite? Esiste, è vero, già adesso la possibilità di interrompere il gioco in qualunque momento. A conti fatti, sono casi più unici che rari quelli in cui l’invasato di turno completa un gioco che superi le venti ore tutto d’un fiato. Quasi nessuno si beve un titolo in questo modo, per questo esistono i punti di salvataggio. Ma questi sono un sollievo, oltreché un opzione. Soffermiamoci su questo punto, senza divagare.


DLC canaglia!

Oggi si tende ad accettare l’idea di DLC poiché essenzialmente aggiuntivi di un’esperienza di per sé completa, integra. Sappiamo che all’interno del disco appena acquistato, patch a parte, abbiamo tutto ciò che ci serve; un giorno, magari, se avremo voglia di espandere la nostra esperienza di gioco, potremo procedere con uno degli episodi scaricabili. Bene. Fin qui tutto più o meno regolare.

In realtà, però, bisogna leggere tra le righe. E tornare a quanto Harrison disse in quell’oramai distante 2007. Ve lo immaginate a passare drasticamente, di punto in bianco, da un modello consolidato di business come quello della compravendita dal vivo (acquirente/negoziante) ad uno che si consuma e risolve nel tempo, attraverso la distribuzione aggiunta tramite la rete? Impossibile. Da qui le varie trovate che sono andate consolidandosi lungo l’attuale e a breve defunta generazione: DLC, Season Pass, aggiornamenti costanti e via discorrendo. Ognuno di questi fenomeni risponde certamente ad esigenze diverse, tuttavia convergenti verso quell’unico intento.

Per capire di cosa si tratta, portiamo ad esempio la vicenda Dragon Age: Origins, giusto per restare in ambito EA (sempre “al passo coi tempi” quando si tratta di certe tematiche). Ricordate i DLC al lancio, di cui uno gratuito? Bene, anche in questo caso, in pochi avranno storto il naso, “addolciti” (tutti gli altri) dalla possibilità di scaricare un inutile contenuto gratuitamente. Ma non importa, perché il problema si pone a monte. Quale messaggio intendi far filtrare distribuendo, gratis o a pagamento, un DLC al lancio? Semplice, stai tentando di inculcare una formula. Stai tentando di rendere accettabile, se non addirittura appetibile, una procedura che, diversamente, faresti fatica ad imporre in un imprecisato futuro. Sono almeno tre anni che lo diciamo, e non ci siamo ancora stancati: gente, quel futuro è adesso!

Blake Jorgensen, o chi per lui, ha buon gioco a farsi forte del feedback dei consumatori; a conti fatti il modello dei contenuti scaricabili è vincente. Alla gente piace acquistare la qualunque per via digitale, fosse un accessorio oppure un intero pacchetto contenente più cose. Da parte nostra mentiremmo se affermassimo di essere stati o di essere tutt’ora immuni da certe logiche: consapevoli o meno, ci siamo cascati anche noi. Adesso però il discorso si fa più serio. Sapevamo che saremmo arrivati a questo punto, era solo questione di tempo. In tal senso, l’approdo sugli scaffali di Metal Gear Rising: Revengeance rappresenta beffardamente il futuro di questo settore; con il Raiden di turno che, per sopravvivere e compiere la propria missione, non può far altro che smembrare in innumerevoli parti il diretto “nemico” (d’obbligo le virgolette). A voi l’interpretazione, speriamo non troppo libera.


Degli interessi camuffati

Quando a breve saremo costretti (al diavolo l’opzionale!) a servirci di questa pratica, il ponte che si instaurerà tra noi la compagnia di sviluppo/distribuzione sarà del tutto simile a quello del prestito bancario. Andiamo con ordine. Il supporto fisico, checché se ne dica, è ancora ben lungi dallo scomparire. Immaginate di acquistare un normale gioco al prezzo di 30 euri. Vi recate alla casa con un sorriso a settantadue denti (quelli vostri e di chi vi farà lo scontrino), sapendo di avere speso una cifra contenuta. Tuttavia sapete anche all’interno di quel gioco troverete appena il 30% dell’avventura: il resto vi toccherà acquistarlo un pezzo dopo l’altro. Esatto, il gioco è stato preventivamente fatto a fette, roba che nemmeno i macellai. Allorché voi direte: «metti che nel breve non arrivo a completare nemmeno quella parte contenuta sul disco… intanto ho risparmiato». Il problema è proprio questo, ossia che molti, in buona fede, crederanno di “risparmiare”.

Ma come tutti i prestiti, anche questo comporterà degli interessi. Perché alla fine della fiera, se vorrete portare a termine quel gioco, pezzo dopo pezzo vi accorgerete di aver speso 90 euri anziché i 60 che spendevate fino all’altro ieri. E questo senza nemmeno aver acquistato un solo contenuto aggiuntivo, fosse anche un’inutile cavigliera decorativa. Stiamo parlando della storia principale, ammesso che di questo passo ce ne sarà ancora una; ad ogni modo, ci riferiamo a tutto ciò che, grossomodo ancora oggi, troviamo all’interno di una normale confezione. La differenza sarà che lo pagheremo almeno un terzo in più. E molti, pur sapendolo, saranno ben lieti di essere spennati, perché tanto la compravendita si risolverà a tranche. Un prestito dilazionato, insomma. Alla fine, in omaggio, potrete pure tenervi il supporto (!).

Chi ha un po’ più di familiarità con certe logiche, comprenderà che i nostri non sono semplici vaneggiamenti. L’ipotesi del prestito si configura in relazione a quegli interessi che oggi non paghiamo ma che domani saremo costretti a rimborsare alle case di sviluppo qualora intendessimo godere a pieno di un loro determinato prodotto. La differenza, diranno gli esperti, sta semmai nell’esigibilità, nel senso che nessuno potrà pretendere di riscuotere la cifra aggiuntiva. Certo, ma nel caso ci trovassimo nell’impossibilità di sostenere la spesa dei vari pezzi da scaricare passo dopo passo, avremmo vanificato anche quelli spesi sino a quel momento – salvo considerare spesi “bene” i soldi che abbiamo sborsato per un’esperienza monca alla base.


Cosa ci dice il «futuro»?

A riprova di quanto paventato, c’è il sempre più probabile prezzo dei giochi PlayStation 4, che sia Gamestop che Zavvi hanno già inserito in catalogo per la modifica cifra di 90 euro, euro più euro meno. Insomma, questo parrebbe essere lo step successivo, ossia prezzi esorbitanti, sempre più proibitivi per sempre più gente, agganciando i videogiochi al settore dei beni di lusso. Ma a quanto pare non è un problema, o quantomeno molti non lo avvertono come tale. Neanche Steambox e la presunta scossa tellurica di massimo grado promessaci da Gabe Newell ci preoccupano; eppure proprio nell’ambito di questo progetto tali dinamiche troverebbero pieno sfogo, divenendo strutturali. «E i consumatori stanno gradendo ed abbracciando questo modello di business».

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