Epic Mickey: la recensione

Lo abbiamo atteso per parecchio, sin dai primi, inebrianti proclami di Warren Spector. D’altra parte, come resistere al richiamo di così tante componenti di richiamo in gioco? C’è Spector, da una parte, mentre sull’altro lato della bilancia troviamo la ferma volontà di creare un buon platform, ambientandolo in un universo di per sé evocativo, ossia quello Disney.

A dire il vero, però, il vero protagonista è lui, Topolino! E non uno dei tanti proposti nella sua quasi centenaria esistenza. Il Topolino di cui intende parlarci Junction Point è epico, proprio perché la sua è un’avventura che va al di là del semplice “viaggio”. Non ci sembra il caso di scomodare l’epica per eccellenza, vale a dire quella greca antica, ma è chiaro che l’intento di chi ha dato vita ad Epic Mickey è quello di consegnarci una storia matura, seppure godibile a tutti.

E fino a qui trattasi di semplici constatazioni, estrapolate dalle varie uscite di Spector in primis. Quest’ultimo si è detto più e più volte lusingato di potersi servire di un personaggio di questa caratura, compito al quale ha sempre dichiarato di voler corrispondere creando un’opera degna del suo protagonista. Ci sarà riuscito? Oppure no? Scopriamolo insieme!

TOPOLIN, TOPOLIN, VIVA TOPOLIN!

Fin dagli albori di questo ambizioso progetto, l’accostamento di una figura del calibro di Warren Spector a quella del personaggio animato più famoso al mondo ha destato parecchia attenzione. L’entusiasmo mostrato dal capoccia di Junction Point, in seconda battuta, ha fatto il resto. La promessa era quella di costruire una storia degna di essere raccontata, attorno alla quale dare vita ad un mondo, a dei personaggi, che dessero maggiore consistenza al tutto.

Ed in tal senso ci pare che già le premesse deponessero decisamente a favore. Senza soffermarci troppo in un sommario, ancorché parziale, profilo del nostro eroe, tutto ha inizio in virtù dell’atavica curiosità di Topolino. Se in passato questo personaggio è stato tra i più amati in assoluto – specie da un pubblico davvero giovane – è stato proprio alla luce di alcuni aspetti che lo accomunano ad un normalissimo bambino. La curiosità, dicevamo, ma anche quella sana ingenuità che gli fa prendere le cose così per come sono.

Non è caso, quindi, se la devastazione di Wasteland (Rifiutolandia, nella versione italiana) è frutto essenzialmente di una involontaria imprudenza. Affascinato da un pennello dagli strani poteri, Topolino si cimenta in un improbabile azione che richiederebbe un’ottima padronanza della magia e della pittura al tempo stesso. Inutile dire che al nostro protagonista mancano sia l’una che l’altra.

La goffaggine di un istante in un mondo, si tramuta in una tragedia in un altro. Posto dinanzi ad un modellino raffigurante una ridente cittadina, il piccolo topo tenta, suo malgrado, di dare un tocco che gli appartiene, non sapendo che lì dentro, proprio in quel modellino adagiato su di un normalissimo tavolo, pulsa la vita degli abitanti di quel luogo. Totalmente estraneo alla portata di ciò che sta per compiere, si produce quindi in casuali pennellate, con fare divertito e disinvolto, proprio come farebbe un bambino.

Si accorgerà presto, però, dell’enorme danno arrecato a quel minuscolo mondo. Colto allora dal senso di colpa, tipica di chi sa di averla fatta grossa, decide lui stesso di porre rimedio, entrando a far parte di quel mondo che inconsapevolmente ha sconvolto. E qui inizia il bello. Sì perché Wasteland, già prima della marachella di Topolino, era tale proprio a causa di quest’ultimo.

In questo luogo convivono tutti quei personaggi a lungo dimenticati, a dispetto della notorietà e della gloria di un tempo. Colui che pare non aver per nulla digerito questo forzato accantonamento è Oswald “The Lucky Rabbit”, personaggio Disney che riappare per la prima volta dopo quasi un secolo. E’ lui che gestisce Wasteland, adoperandosi in ogni modo al fine di rendere questo posto un meno triste di quanto non sia. Ed è lui che, al tempo stesso, serba maggior rancore verso Topolino, al quale imputa tutte le cause delle sue disgrazie.

Ma il nostro eroe a fatica riesce a confrontarsi con questa realtà. Non capisce bene in cosa abbia sbagliato, se non nel rovesciare quella famosa boccetta di solvente. Non importa quale sia la fama di cui dispone: adesso è il momento di salvare Wasteland. La trama, badate bene, offre tutta una serie di spunti che con ogni probabilità i più piccolini faticheranno a rintracciare. Temi come l’amicizia, il dovere, lo stesso rancore ed altri ancora, vengono costantemente proposti attraverso svariati episodi. Senza contare alcune scelte stilistiche e di gameplay che arricchiscono ancora di più un titolo tutt’altro che “semplice”.

La storia in sé, poi, è ciò che più di ogni altra cosa ci induce a spingerci sempre un po’ più in là, da Oz Town ad Avventurolandia, passando da luoghi tutt’altro che raccomandabili. Un percorso che ci porta a conoscere meglio il nostro Topolino, spaesato ma al tempo stesso deciso a porre la parola fine all’avvento di Macchia Nera. Ed in questo sta il suo carisma, cioè nel caricarsi su di sé il destino di un mondo, senza mai prestare il fianco a scoraggiamenti o borbottii di sorta. Dinanzi ad un Topolino così, forse il termine epico non è poi così improprio.


CREA E DISTRUGGI

Il fulcro dell’intera struttura di gioco ruota attorno a questi due semplicissimi passaggi. Con il pennello di cui è dotato Topolino, possiamo pitturare o cancellare parte di ciò che appartiene al mondo circostante. Non pensiate che lo scenario sia completamente plasmabile a nostro piacimento, perché, a conti fatti, non lo è affatto. Tuttavia queste due azioni costituiscono i momenti essenziali del gameplay. Da notare quello che per noi è messaggio piuttosto esplicito da parte degli sviluppatori, filtrato proprio attraverso le due possibilità di cui dispone il pennello.

Nella stragrande maggioranza dei casi, pitturare assume una connotazione decisamente positiva, come per esempio nelle situazioni in cui, pitturando un nemico, quest’ultimo passa dalla nostra parte. Ma il ricorso alla pittura genera le stesse sensazioni allorquando dobbiamo materializzare qualcosa, come un ponte, una piattaforma o un oggetto di altra natura. Nonostante questo, il gioco ci obbliga in svariate occasioni ad usare anche il solvente, elemento che serve per cancellare. Grazie a questo possiamo eliminare fisicamente i nostri nemici, nonché far sparire porzioni di superfici che ci impediscono di andare avanti o che nascondono qualcosa.

Fermo restando che quasi sempre si può rettificare una propria scelta in merito alla pittura o alla cancellazione di qualche oggetto, questo non è vero in relazione ai nostri nemici. Una volta “eliminati”, questi non tornano più indietro, salvo cambiare livello e ritornare sul luogo del misfatto. Capite bene che questo carattere pressoché irrevocabile dell’azione, implica tutta una serie di risvolti semiotici non di poco conto.

In questa sede ci basti sapere quel che segue. Per quanto Topolino stia dalla parte dei “buoni”, in determinate situazioni non potrà fare a meno di utilizzare il proprio pennello per distruggere qualcuno. Ci rendiamo conto di spingerci un po’ troppo oltre con queste considerazioni, che volutamente gettiamo in pasto a voi lettori, sulle quali magari potrete ragionare con calma una volta in possesso del gioco. Questo dualismo, però, ci è sembrata una delle chiavi di lettura più interessanti dell’intera opera.

Sia chiaro, il giocatore dispone comunque di un qualche margine di libertà relativamente alle proprie scelte. Spector fece parecchia leva sulla possibilità di influenzare il mondo di gioco con le proprie scelte. E questo è vero in parte, poiché è sì possibile optare per una scelta anziché un’altra, senza che però ciò intacchi anche solo un po’ il regolare corso degli eventi. Per fare un esempio pratico. Molto utili nell’arco dell’avventura si rivelano i Gremlins, creature che, una volta liberate, ci facilitano il nostro compito portando a termine per noi quel determinato passaggio. Oppure possiamo avvertire questo opaco potere discrezionale nel momento in cui decidiamo o meno di compiere una determinata missione secondaria, garantendoci l’aiuto del diretto interessato non appena se ne presenta l’occasione.

Sì perché Epic Mickey ci dà anche modo di rilassarci con qualche piccola missioncina completamente slegata dalla trama. Ciò non significa che portarle a termine sia inutile, anzi, tutto il contrario. Tra oggetti o aiuti di altro tipo, svolgere queste missioni si rivela particolarmente utile, anche se non in tutti i casi.

Tuttavia questo non intacca una struttura pressoché lineare, con dello sporadico ma mai eccessivamente snervante backtracking, comunque funzionale alla narrazione. Se a questo si aggiungono tutta una serie di oggetti da scoprire (come le spille e le pellicole), possiamo certamente tranquillizzare coloro i quali temessero un titolo “corto”. Per essere un platform, Epic Mickey dura quanto basta, dandoci modo di goderci una bella storia.


TRA LUCI, OMBRE E COLORI

La componente che a livello visivo salta immediatamente agli occhi è senza dubbio quella stilistica. Pur disponendo di una grafica di ottima fattura, anche il mero calcolo computazionale (com’è giusto che sia) deve uniformarsi a delle precise scelte stilistiche. Se da un lato Wasteland non brilla per varietà – proponendo sì diversi generi di ambientazione, ma tutti vagamente simili – dall’altro non si può fare a meno di innamorarsi di quelle sorte di dimensioni di passaggio dalle quali siamo obbligati a passare per accedere da una zona all’altra.

Geniale è non solo la scelta di servirsi di una tela di proiezione attraverso cui tuffarsi per passare nella zona successiva, ma ancor più lo è intervallare tale passaggio con delle fasi totalmente in 2D, che definire affascinanti è dire poco. L’impatto visivo, in questi frangenti, è decisamente notevole, con uno scenario molto spesso in bianco e nero poiché si tratta sempre di contesti adattati a dei vecchi corti Disney. Trattasi di un tributo alla Disney degli albori, amalgamato con un amore ed intelligenza che hanno quasi del commovente.

Purtroppo, però, è brutto evidenziare come le fasi appena menzionate durino poco o nulla. Effettivamente non incidono in alcun modo, almeno apparentemente, su quanto ci viene raccontato, e questo emerge ancora di più se pensiamo che senza la storia sarebbe potuta procedere tranquillamente allo stesso modo. Ma poiché è nei dettagli che si vedono le cose grandi, non ci sembra che si possa discutere in maniera così superficiale a riguardo. Dettagli come delle cartucce di giochi per Nintendo e Super Nintendo che troviamo in una specifica zona. Oppure come le gocce d’inchiostro che il corpo di Topolino perde costantemente, quasi a voler servirsi di un’ulteriore metafora per rimarcare l’assoluta estraneità del nostro eroe a quel mondo dimenticato.

Il comparto sonoro si adegua in maniera piuttosto efficace. Assolutamente azzeccata, e di buon gusto, la scelta di non far parlare alcun personaggio, facendogli emettere tutt’al più dei versi. Le musiche che fanno da sfondo hanno quantomeno il merito di non venire a noia, rischio che in certe situazioni si trova sempre dietro l’angolo. Noi abbiamo gradito molto quei temi tipicamente anni ’30 (o giù di lì) che si riscontrano durante le nostre scorribande in 2D.


COMMENTO FINALE

Epic Mickey è un altro di quei titoli che non avranno pace: o lo si ama o lo si odia. È difficile che questo titolo trovi una sua collocazione tra questi due estremi. E questo, nonostante si tratti di un gioco potenzialmente fruibile da tutti: grandi e piccoli, amanti dell’universo Disney e non.

I difetti ci sono: su tutti, una gestione della telecamera che lascia poco spazio alle interpretazioni. Abbiamo volutamente riservato tale critica alle nostre considerazioni conclusive, poiché a nostro parere, pur trattandosi dell’unica vera pecca, non si può certo fare a meno di notare come una funzionale gestione della telecamera sia la condizione indispensabile per ogni platform che si rispetti.

Epic Mickey è un gran bel progetto, condotto con sapiente maestria e che, per noi, deve brillare in ogni sua singola componente. Anche perché, pur essendo essenzialmente un platform, mutua alcune meccaniche anche da altri titoli blasonati. Se l’ispirazione a Super Mario possiamo definirla piuttosto palese, non da meno lo sono gli ammiccamenti a titoli come Zelda, specie in relazione al ritrovamento di forzieri contenenti tesori.

Se a questo si aggiunge una struttura tutt’altro che banale, ed una storia che deve assolutamente essere seguita, possiamo tranquillamente affermare che Epic Mickey sia un titolo che ogni degno possessore di una Wii deve possedere, o su cui deve almeno fare un giro. Soffermatevi ad apprezzare anche le più piccole cose, notando come poco o nulla sia lasciato al caso. Il più grande pregio di questo titolo, forse, è proprio quello di generare una certa magia a prescindere dal marchio a cui appartiene. E questo, permetteteci di dirlo, è già un gran bel traguardo per chi si deve confrontare con un’istituzione qual è lo storico Topolino.

Cosa ci piace

Cosa non ci piace

  • Finalmente un buon platform
  • Storia davvero coinvolgente
  • Parecchie intuizioni geniali
  • Gestione della visuale che alterna momenti discreti ad altri pessimi
  • Se si fosse dato maggior spazio alle fasi in 2D non sarebbe stato un male

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