Bound: la recensione

Blogo recensisce per voi l'evocativa avventura platform di Plastic e Sony Santa Monica in esclusiva su PlayStation 4
Blogo recensisce per voi l'evocativa avventura platform di Plastic e Sony Santa Monica in esclusiva su PlayStation 4

Con l’uscita di titoli come Abzu, Grow Up e Brut@l e con l’arrivo imminente di progetti che promettono di essere altrettanto interessanti come Valley, The Final Station e Obduction, il mese di agosto ha saputo offrire divertimento a profusione per tutti gli appassionati di videogiochi indipendenti.

In un simile, atipico contesto di opulenza tecnoludica estiva dominato dai mostriciattoli di Pokémon Go e dalle astronavi dell’universo procedurale di No Man’s Sky si inserisce la poetica dimensione di Bound, un titolo che ha catturato le attenzioni degli spettatori dell’E3 2016 grazie ai suadenti passi di danza della ballerina protagonista e delle anomale strutture architettoniche che imperlano un paesaggio surrealista.

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Realizzata dagli studios polacchi di Plastic (alla loro prima “esperienza maggiore” dopo le demo tecniche di Linger in Shadows e Datura) lavorando a stretto contatto con il ben più celebre team di Sony Santa Monica (God of War, Twisted Metal e un’infinità di collaborazioni), l’avventura piattaformosa che terrà a battesimo questa nuova proprietà intellettuale promette di svecchiare il genere attraverso un canovaccio narrativo ricco di simbolismo, un sistema di gioco basato sulle eleganti evoluzioni prodotte dalla protagonista per esplorare l’ambiente a lei circostante e una cura maniacale negli aspetti artistici, tecnici, sonori e stilistici che caratterizzano l’opera nel suo insieme.

Cerchiamo allora di scoprire, con la recensione di Bound che vi proporremo quest’oggi, se l’ultima fatica digitale dei Plastic Studios e del team che ha dato i natali all’epopea action di Kratos merita o meno di essere citata nel novero delle produzioni videoludiche più importanti di metà 2016.

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COSA CI PIACE

Trama ricca di sfumature

Nel microcosmo digitale di Bound, forma e contenuto assumono le medesime sembianze per entrare in simbiosi con l’utente nella speranza che quest’ultimo non rimanga un mero spettatore disinteressato ma, al contrario, diventi complice e artefice delle azioni compiute e delle scene ammirate dalla sinuosa danzatrice protagonista di questo viaggio onirico a metà strada tra il sogno e l’incubo.

Il linguaggio del corpo utilizzato dalla ballerina di Bound nel corso dell’avventura è la penna virtuale con cui i Plastic Studios scrivono le pagine più interessanti e toccanti della trama di questo platform sperimentale, comunicando con i passi di danza del nostro enigmatico alter-ego tutta una serie di stati d’animo e di sensazioni che non hanno una semplice funzione estetica ma si rispecchiano nella conformazione stessa dei livelli, nella palette cromatica delle strutture che dominano il panorama e nell’atteggiamento assunto dalle entità che seguono come un’ombra l’eroina interpretata dagli utenti.

Con questo originale stratagemma narrativo, gli autori di Bound riescono così ad affrontare delle tematiche impegnate come la depressione, la disabilità, la gravidanza o la solitudine veicolando il loro messaggio di speranza con il simbolismo che permea l’intera opera, prova ne sia la presenza di un sistema autorale con finali a scelta multipla che, con naturalezza, consente al giocatore di ricominciare daccapo l’avventura per approfondire ulteriormente la conoscenza della ballerina e delle ambientazioni che rappresentano in maniera metaforica le sue ambizioni, i suoi sentimenti e i suoi stati d’animo contrastanti.

Gameplay semplice ma elegante

Il sistema di gioco di Bound sintetizza le meccaniche dei primissimi platform 3D per porre l’accento sulle movenze sinuose della protagonista, sulle sensazioni provate nella reazione dinamica agli stimoli ambientali e sulle emozioni espresse dai passi di danza che scandiscono armoniosamente il progredire nell’avventura.

L’eleganza che contraddistingue le animazioni della misteriosa ragazza interpretata dagli utenti illumina il cammino e rende più interessante l’esecuzione dei salti, delle schivate e dei passaggi necessari per superare gli ostacoli e le piattaforme che imperlano il paesaggio, contribuendo a mitigare la ripetitività delle mosse e la relativa insoddisfazione causata dalla linearità dei livelli o dall’impossibilità di scegliere percorsi alternativi per raggiungere gli obiettivi designati.

Gli esigui elementi che concorrono a formare la giocabilità di Bound, di conseguenza, vanno considerati come un aspetto secondario dell’opera, una sorta di “orpello interattivo” funzionale alla trama espressa dalla comunicazione non verbale della danza e complementare all’esperienza visiva e sonora offerta dall’alternanza tra i diversi ambienti procedurali visitati dalla protagonista. Non c’è da sorprendersi, quindi, se i Plastic Studios hanno saggiamente deciso di irrobustire l’offerta di gioco di Bound con l’introduzione di un modulo parallelo e complementare alla campagna principale che consente agli utenti più competitivi di mettersi alla prova in speedrun collegate a delle classifiche online.

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Artisticamente eccelso

Una volta conclusa la breve – e graficamente fiacca – introduzione alla storia della Principessa danzatrice di Bound, bastano davvero pochi minuti per accorgersi dell’impegno profuso dai designer e dagli artisti digitali degli studi Plastic nella realizzazione delle originali ambientazioni della loro avventura. La dimensione digitale che accoglie la protagonista ci proietta in un tripudio di luci saettanti, di linee contorte, di effetti particellari e di figure geometriche in perenne mutamento che concorrono a trasformare il viaggio in un flusso costante di emozioni difficilmente descrivibili.

Una colonna sonora incredibile, delle animazioni sontuose, l’originalità dei livelli (ma solo per quanto riguarda la loro componente estetica) e il sagace utilizzo dei voxel e dell’illuminazione dinamica per moltiplicare le emozioni regalate dalle sessioni platform e dai frangenti più “impegnati” contro la gigantesca nemesi della Principessa fanno del comparto tecnico e artistico di Bound il suo indubbio punto di forza. E questo, senza considerare la compatibilità nativa con PlayStation VR e la possibilità di poter rigiocare il titolo tra qualche mese da una prospettiva ancora più immersiva grazie al visore VR di Sony atteso al lancio in autunno.

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COSA NON CI PIACE

Fasi platform mal calibrate

I platform in terza persona, come ben sapranno gli appassionati del genere cresciuti videoludicamente tra i variopinti mondi di Super Mario e Banjo-Kazooie, non vanno molto d’accordo con i sistemi a generazione procedurale di cui tanto si sente parlare in quest’ultimo periodo dominato dalle notizie su Pokémon Go e No Man’s Sky, due titoli il cui innegabile punto di forza è rappresentato dalla capacità di generare da sé i contenuti e le dinamiche di gioco da proporre ai loro utenti. Se dal punto di vista grafico le perpetue trasformazioni ambientali di Bound conferiscono unicità a ciascun livello, dall’altro la scarsa dimestichezza degli studi Plastic con il genere dei platform-adventure finisce con il limitare la varietà di situazioni di gioco a tal punto da trasformare la campagna principale in un monotono susseguirsi di sfide superficiali da portare a termine con estrema facilità.

L’erronea gestione delle collisioni nei salti tra una piattaforma e l’altra, l’assenza di qualsivoglia sistema di evoluzione delle abilità e delle movenze della protagonista e la mancanza di opzioni multiple nella scelta del percorso da intraprendere per giungere alla fine di ciascuno scenario fanno il resto e contribuiscono a rendere ancora più piatta l’esperienza interattiva all’interno del microcosmo digitale di Bound.

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Poco longevo

Complice la scarsa diversificazione degli enigmi ambientali e dei frangenti platform affrontati passando da uno scenario all’altro, l’avventura di Bound può essere portata a termine in meno di tre ore. Al netto dello spettacolo offerto dal sistema a generazione procedurale dei mondi di gioco, la progressione dei livelli risulta essere estremamente lineare sin nelle fasi iniziali della storia, con tutte le conseguenze che potete facilmente immaginare in termini di rigiocabilità.

Consapevoli della loro inesperienza nel campo dei platform in terza persona, i ragazzi degli studi Plastic hanno così provato ad ampliare il ventaglio di opzioni di gioco da offrire agli emuli della danzatrice attraverso l’introduzione di finali multipli e di sfide speedrun in multiplayer asincrono da portare a termine per scalare le classifiche online: un po’ poco, considerando quanto di buono è stato fatto dagli autori polacchi nell’infondere carattere e stile a ciascuna ambientazione che lega la trama al percorso introspettivo della Principessa.

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CONSIDERAZIONI FINALI

Elegante, imperscrutabile e irraggiungibile, la dimensione surrealista di Bound è una clessidra impazzita che scandisce il tempo a un ritmo sempre diverso in base alle sensazioni, ai sentimenti e alla sensibilità di chi, dall’altra parte dello schermo, si ritrova ad ammirare le leggiadre movenze della danzatrice protagonista rimanendone rapito come marinai attratti dall’irresistibile canto di una sirena.

Una volta esaurito l’iniziale slancio emotivo dato dall’incontro con l’eterea ballerina di Bound, però, emergono inesorabilmente tutti i limiti di un sistema di gioco troppo semplificato e incapace di offrire un’esperienza a lungo termine a causa dell’eccessiva ripetitività delle sfide da affrontare e delle situazioni di gameplay da vivere nei panni della protagonista.

Per questo, consigliamo l’acquisto di Bound solo ai più empatici, agli amanti dei videogiochi indipendenti più originali e a tutti coloro che sono disposti a scendere a patti con i propri istinti primordiali da hardcore gamer per poter intraprendere un viaggio intimistico assieme a una misteriosa danzatrice che, anche se per pochi e fugaci attimi, saprà regalare emozioni indimenticabili a chi la seguirà nel suo surreale universo di luce cangiante e di cubi fluttuanti.

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