Alan Wake: la recensione

Alan Wake: la recensione

Davanti alla sua logora macchina da scrivere, un affermato romanziere cerca di entrare in contatto con la parte più profonda della sua essenza per trasformare le proprie paure in un emozionante soggetto letterario: a lavoro compiuto, ogni copia del suo libro è un prolungamento che congiunge la propria anima a quella del lettore come in un eterno ed indissolubile abbraccio tra due amanti.

La magica alchimia che lega uno scrittore alla sua opera (e l’opera stessa ai suoi futuri acquirenti) è il Santo Graal che i ragazzi della rinomata casa di sviluppo finlandese di Remedy hanno provato a cercare in questi lunghi anni addentrandosi nei freddi e tetri boschi di Bright Falls assieme ad Alan Wake.

Nel viaggio che stiamo per intraprendere con questa recensione, proveremo quindi ad analizzare l’avventura ai confini della realtà che il povero Alan sarà costretto a vivere sulla sua pelle.

SVEGLIATI, ALAN, SVEGLIATI!

Per plasmare questo folle racconto dell’orrore attorno alla figura di Alan Wake, gli scrittori di Remedy hanno cercato di riprendere la progressione narrativa degli eventi raccontati da David Lynch nella serie televisiva culto di “Twin Peaks” (e nel successivo lungometraggio “Fuoco cammina con me”), provando però a calare il tutto in un contesto videoludico di una crudezza espressiva simile a quella utilizzata da Stephen King nei suoi best seller internazionali.

Come ogni buon thriller che si rispetti, il gioco ha inizio con una breve ma concitata fase che riassume perfettamente ciò che saremo chiamati a superare indenni di lì a poco, permettendoci quindi di calarci immediatamente nella parte di Alan Wake, un famoso romanziere caduto in depressione ed affetto da un “blocco dello scrittore” così grande da indurre sua moglie, la dolce Alice, a consigliargli una vacanza rigenerante nei dintorni di Bright Falls, un bucolico insediamento urbano chiuso da imponenti montagne e da boschi impenetrabili di conifere.

Non passa però molto tempo prima che l’oscura premonizione avuta all’arrivo a Bright Falls si manifesti in tutta la sua brutale crudeltà sul corpo e sulla mente del nostro Alan, anche se a farne maggiormente le spese, purtroppo, è la sua amata Alice, che viene misteriosamente rapita da delle entità demoniache capaci di alimentarsi dell’oscurità circostante: sin da questi primissimi istanti di gioco, appare in tutta la sua cristallina evidenza l’intenzione di Remedy di voler spiazzare l’utente attraverso un canovaccio narrativo frastagliato che, non offrendoci punti di riferimento, ci induce a brancolare nel buio proprio come il giovane protagonista di questa tetra avventura.

In un mondo dove le fantasie più orrende riescono a manifestarsi sul nostro piano astrale senza capire nè come nè perchè tutto ciò avvenga, ad ogni risposta che riusciamo a raggiungere si assommano altre dieci domande altrettando importanti, quasi ci trovassimo all’interno di immenso dedalo di cunicoli rischiarati da una fioca luce che s’allontana sempre di più se proviamo ad inseguirla: gli spettri che hanno attaccato Alice, ad esempio, nonostante sembrino provenire dalla mente di Alan dimostrano di appartenere fisicamente ai luoghi visitati, e allo stesso modo ogni persona con cui saremo chiamati a dialogare, nonostante la calda ospitalità iniziale, sembra nasconderci qualcosa di terribile. L’incertezza regna sovrana a Bright Falls: bisogna ascoltare tutti i dialoghi fino all’ultimissima scena di gioco, infatti, per ricevere delle risposte anche solo minimamente esaurienti.

Cercando quindi di non farsi prendere dalla panico e dalla disperazione per il rapimento della sua dolce metà, al buon vecchio Alan non rimane altro da fare che adottare un atteggiamento aggressivo e prendere di petto la situazione per tirarsi fuori da questo indescrivibile incubo ad occhi aperti: ci riuscirà? E come? Andiamo a scoprirlo assieme nel corso del prossimo capitolo.

Alan Wake: galleria immagini

SIA FATTA LA LUCE!

Come abbiamo avuto modo di osservare nei tantissimi filmati mostratici negli ultimi mesi da Remedy e da chi ha avuto la fortuna di provare Alan Wake in anteprima, il dualismo tra la Luce e l’Ombra rappresenta la componente preponderante della giocabilità.

L’approccio adottato dai ragazzi finlandesi per sviluppare questo particolare aspetto della loro opera digitale è però profondamente diverso da quello “classico” di titoli come Thief o come Splinter Cell, che danno all’oscurità un significato positivo ed un ruolo determinante per la buona riuscita delle missioni affidateci: in funzione del genere letterario scelto da Remedy, invece, Alan Wake guarda videoludicamente alla Luce e all’Ombra come ad un vero e proprio “duello archetipo” tra le forze del Bene e quelle del Male.

La titanica lotta che saremo costretti ad affrontare in prima persona avrà perciò come duplice terreno di scontro sia la mente martoriata e confusa del povero Alan che, soprattutto, l’ambiente a lui circostante: se nel primo caso le appassionanti sequenze in computer grafica e i dialoghi saranno sufficienti a fare chiarezza, nel secondo caso invece la faccenda andrà complicandosi man mano che ci addentreremo tra le fitte foreste di Bright Falls. E sarà proprio lì, nel buio selvaggio della notte, che dovremo farci strada tra nugoli di demoni sbucati dal nulla per reclamare a gran voce la nostra anima.

Come indicatoci dalla misteriosa entità di luce che nell’incubo all’inizio dell’avventura ci ha aiutati a trovare la via della salvezza, per respingere efficacemente le creature oscure non basterà scaricargli addosso un intero caricatore, ma bisognerà obbligarle a lasciare il loro piano dimensionale servendosi di un qualche tipo di fonte di illuminazione (che provenga da una torcia, da un lampione, da un bengala o da un semplice faro di automobile ha poca importanza): una volta raggiunto lo scopo, le entità meno potenti svaniranno semplicemente nel nulla (come i poltergeist o gli stormi di uccelli assassini), diversamente dai Posseduti che, indeboliti dal fascio di luce, assumeranno una consistenza fisica tale da renderli “sensibili” ai nostri colpi di revolver, di fucile, di lanciarazzi di segnalazione o di esplosivi accecanti (rigorosamente indicati in ordine crescente di danno provocato).

Per rendere ancora più adrenalinica la componente action del titolo, i ragazzi di Remedy hanno ben pensato di regalare agli “uomini neri” un’impareggiabile capacità mimetica che consente loro di sbucare dal nulla in qualsiasi momento e in qualunque luogo della mappa, comprese le aree visitate da pochi secondi e reputate “sicure”. Naturalmente, per dare al povero Alan qualche possibilità di sopravvivenza si è deciso di “porgergli in dono” un’insolita reattività muscolare (considerata la sedentarietà del suo lavoro), permettendogli di schivare i fendenti mortali delle anime dei dannati gestendo il tutto con la semplice pressione simultanea del pulsante dorsale sinistro e della levetta analogica sinistra (con annesso uno squisito effetto slow-motion qualora si esegue con successo la mossa a ridosso del colpo).

Per nostra sfortuna, però, non è tutto oro quello che luccica: all’appassionante componente narrativa fa da triste contraltare una giocabilità che si mantiene identica a sé stessa col passare delle ore (con la regoletta “punta-illumina-schiva-spara” che si ripete fino alla noia con ogni tipo di nemico affrontato). Anche dal lato prettamente “esplorativo”, le promesse fatte dagli sviluppatori in questi anni vengono parzialmente disattese da ambienti estremamente caratterizzati, particolarmente ampi ma strutturati comunque in livelli chiusi su un binario unico (a cui si aggiunge raramente un secondo bivio che non offre però sfide aggiuntive o emozioni particolari).

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GRAFICA E SONORO

Il motore grafico realizzato espressamente da Remedy per Alan Wake è stato a lungo (e continua tutt’ora ad esserlo) un oggetto di discussione particolarmente accesa tra chi lo considera la vetta più alta mai raggiunta tecnicamente su console e chi, viceversa, non ci vede nulla di rivoluzionario: come nella stragrande maggioranza dei casi simili in cui due scuole di pensiero così radicate si contrappongono, la verità sta sempre nel mezzo.

Se da un lato, infatti, possiamo candidamente affermare che i meravigliosi paesaggi boschivi, gli ambienti rurali in rovina (e ce ne sono parecchi), gli effetti atmosferici dinamici, il geniale sistema di illuminazione e l’uso magistrale dei filtri grafici rappresentano davvero il massimo attualmente disponibile su piattaforme di gioco casalinghe, dall’altro lato è impossibile non considerare assolutamente inadeguati i volti e le animazioni dei protagonisti, le texture di molti elementi architettonici, la caratterizzazione dei nemici e la scarsità di taluni modelli poligonali (come quelli delle autovetture). Rientra invece nel novero degli insindacabili gusti personali il sacrificio della componente horror in funzione di una maggiore fruibilità da parte del pubblico (in Alan Wake, di scene agghiaccianti come quella della donna in decomposizione nella doccia o delle due gemelline fantasma di Shining non ne troverete nemmeno mezza).

Uno dei pochi aspetti di Alan Wake che riesce invece a trovare concordi un po’ tutti è il lavoro svolto da Remedy nel dare alla sua opera digitale un comparto audio di assoluta eccellenza: oltre all’incalzante ed azzeccatissima colonna sonora, è impossibile infatti non citare in positivo le disturbanti atmosfere degli ambienti “indemoniati” e l’ottimo doppiaggio in italiano (che però è ben poca cosa rispetto al sublime doppiaggio in madrelingua).

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COMMENTO FINALE

Alan Wake è, per sua stessa natura, una pietra della discordia destinata a dividere gli animi a prescindere dalla sua reale “caratura videoludica”, vuoi per lo spropositato lasso di tempo che abbiamo dovuto attendere prima della sua commercializzazione (l’annuncio risale addirittura all’E3 2005), vuoi perchè di proprietà intellettuali così atipiche e promettenti non se ne vedono poi molte all’orizzonte: fattori come questo e come tanti altri (dall’uscita in esclusiva alle prese di posizione sul comparto tecnico) hanno inevitabilmente contribuito a caricare il progetto di speranze e di aspettative assolutamente sproporzionate rispetto alla reale natura del titolo.

Senza liberarci da tutti i preconcetti e i pregiudizi maturati in questi mesi, infatti, è praticamente impossibile inquadrare Alan Wake senza cadere nella trappola di chi, magari, preferisce chiudere gli occhi ed affibbiare il “perfect score” (o l’insufficienza) senza soffermarsi ad ascoltare davvero il profondo messaggio consegnatoci virtualmente da Alan per svelarci i segreti più reconditi di questa avventura incredibilmente complessa.

Compreso questo, diventa fin troppo semplice capire che, sin dal principio, Alan Wake era ed è tutt’ora un’esperienza personale che utilizza il linguaggio dei videogiochi solo come uno dei tanti strumenti messi a disposizione di uno scrittore per stringere un forte legame con il proprio lettore: l’ultima fatica di Remedy è sia forma che sostanza, ed è proprio questo che la rende così incredibilmente attraente e, al contempo, così tremendamente passibile di critiche (giustificate per giunta da vistose imperfezioni tecniche e programmatiche).

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Cosa ci piace

Cosa non ci piace

  • Trama impeccabile ed appassionante
  • Artisticamente superlativo
  • L’uso magistrale dell’illuminazione
  • Combattimenti ripetitivi
  • Graficamente migliorabile
  • Tanto action, poco thriller, niente horror

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