L.A. Noire: la recensione

Dopo un’attesa snervante durata anni, il giorno della commercializzazione europea di L.A. Noire è finalmente giunto: l’avventura che il detective Cole Phelps s’appresta a vivere tra i malfamati vicoli della Los Angeles d’inizio anni ’50 è, senza pericolo di smentita, uno degli eventi videoludici più importanti di questa generazione di console per una serie indefinita di motivi (dalla natura duale del gameplay poliziesco/investigativo all’importanza della trama, dall’estensione della mappa di gioco al realismo dei dialoghi e del doppiaggio).

Avvolto da una fitta coltre di mistero sin dal suo annuncio, lo sviluppo di questo nuovo, attesissimo progetto firmato Rockstar Games è proceduto in un silenzio assordante spezzato solo in questi ultimi mesi con l’attivismo multimediale dei gestori del sito ufficiale che, stando sempre attenti a non rivelare indizi sensibili sulla trama, ci hanno regalato immagini a pioggia e filmati esplicativi così efficaci da accendere all’istante le fantasie più sfrenate dei fans.

Gli spunti da cui partire per analizzare nel dettaglio ogni singolo aspetto narrativo, tecnico e squisitamente ludico di L.A. Noire sono davvero tanti, evitiamo perciò di perderci in chiacchiere e andiamo immediatamente a scoprire, attraverso questa recensione, se le speranze e i sogni degli appassionati hanno trovato o meno conferma nel lavoro compiuto da Brendan McNamara e dal suo Team Bondi.

COLE PHELPS, IL “GOLDEN BOY” DEL DIPARTIMENTO

Siamo nel 1947: risvegliatasi dall’incubo della Seconda Guerra Mondiale, la Los Angeles descritta dal Team Bondi è una città che, seppur tra mille contraddizioni, comincia timidamente a diventare uno dei centri economici più fiorenti dell’America, contribuendo, con l’industria dei sogni di Hollywood in pieno fermento, a gettare le basi per una supremazia culturale sui Paesi dell’occidente (e non solo, basti pensare al fenomeno indiano di Bollywood o al pirotecnico cinema action cinese e giapponese) destinata a durare nei decenni a venire a prescindere dal danno causato dalle bombe e dalla guerra al nazifascismo.

È in un simile, apparentemente idilliaco contesto che andremo ad impersonare Cole Phelps, un intraprendente poliziotto di strada forgiato nel carattere dalla tremenda esperienza maturata in Europa come ufficiale dei Marines: intransigente, mosso da sani principi morali e determinato a sconfiggere il male che striscia per le strade della sua città natale macchiandone lo splendore e il prestigio agli occhi del mondo, il nostro Cole è un integerrimo difensore della verità e della giustizia nonché uno degli elementi più validi del Dipartimento di Polizia.

Diversamente da Red Dead Redemption o Grand Theft Auto IV, però, in L.A. Noire la figura di Cole Phelps non è affatto il punto focale della trama: se non fosse per dei brevi ed estemporanei flashback sugli eventi che hanno contribuito a forgiarne il carattere in guerra, della vita di tutti i giorni e dei pensieri più nascosti del detective Phelps non sapremmo quasi nulla. Questo evidente buco narrativo (che diventa una voragine se consideriamo il lavoro svolto in passato sui personaggi di John Marston e Niko Bellic) non è però riconducibile ad una colpevole mancanza degli sviluppatori, ma ad una precisa scelta del Team Bondi di oscurarne volutamente la stella per dare la possibilità ai giocatori di “calarsi nella parte” in prima persona, immergendosi nei suoi panni per adottare autonomamente le scelte investigative volute.

L.A. Noire non è quindi un film già scritto che aspetta di essere goduto da spettatori che siedono passivamente in sala, ma un audace esperimento multimediale che trasforma lo spettatore in attore, e l’attore in un vero e proprio regista che ha la possibilità di modulare in completa autonomia la giocabilità, la narrazione e persino la storia del contesto in cui è stato calato. Tutto ciò è davvero paradossale e ha dell’incredibile, specie se pensiamo alla monumentale impalcatura narrativa eretta da McNamara e soci per arricchire l’esperienza di gioco in ogni suo aspetto.

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LOS ANGELES TREMA, LA POLIZIA INDAGA

L’atipico approccio narrativo adottato dal Team Bondi è la chiave di volta che ci consente di capire nel profondo le scelte videoludiche compiute da McNamara e compagni nella delicata fase di sviluppo della giocabilità di L.A. Noire: il titolo, infatti, giunge in territori fino ad ora inesplorati dagli action free-reaming ed alterna ricche e profonde fasi investigative a veloci e immediate sessioni d’azione pura.

I due aspetti coesistono e convivono pacificamente in una dimensione che, seppur legata a doppio filo alla narrazione principale e al ruolo di tutore della Legge del protagonista, offre infinite ramificazioni e rimane aperta a mille opportunità: superata la fase iniziale in cui ci vengono spiegati i concetti basilari del gameplay (su cui ritorneremo nel dettaglio tra non molto), possiamo infatti decidere quale direzione investigativa prendere senza la necessità di seguire percorsi predeterminati.

Senza nulla togliere alle scene d’azione o alla libertà di movimento, la peculiarità principale del progetto è senzadubbio quella relativa alle fasi investigative: come in un vero e proprio poliziesco, infatti, una volta assegnatoci un caso dovremo recarci con il nostro compagno sulla scena del delitto e raccogliere le prove per proseguire nelle indagini, per trovare nuove piste da battere e per avere un quadro generale il più possibile aderente alla realtà. Più questo lavoro investigativo “di base” sarà accurato, maggiori saranno le probabilità di impostare i colloqui con i testimoni e, soprattutto, gli interrogatori con i sospetti senza commettere errori e strafalcioni in grado di condizionare pesantemente l’esito delle indagini.

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PISTOLE E TACCUINI

Per non condannare alla camera a gas un innocente e per evitare di lasciare a piede libero assassini e feccia assortita, dovremo quindi sfruttare gli strumenti messici a disposizione dal dipartimento di Polizia di Los Angeles e dai ragazzi del Team Bondi: aiutandosi con un taccuino per registrare indizi, luoghi e dettagli sui sospetti, infatti, il buon Cole sarà chiamato a svolgere il delicato mestiere del detective incrociando i dati raccolti per scremare le prove e impostare gli interrogatori ponendo domande attraverso tre distinti “gradi di giudizio” (Verità, Dubbio e Menzogna) relativi alle risposte date dai sospetti, dai conoscenti della vittima e dai testimoni oculari messi sotto torchio.

In base all’accuratezza con cui abbiamo imbastito le indagini e gli interrogatori dei casi precedenti (ma anche alla bravura con cui abbiamo fermato i criminali di strada nelle “missioni secondarie”) potremo poi guadagnare dei Punti Intuito (per un massimo di 5) spendibili in qualunque momento per aiutarci a capire se ci è sfuggita qualche prova o se, magari, il nostro diretto interlocutore si sta prendendo gioco di noi. La natura di questi Punti Intuito varia di situazione in situazione e influsce solo marginalmente sulle indagini (nei casi degli interrogatori, ad esempio, usando un Punto Intuito si elimina solo un “grado di giudizio” errato e una parte degli indizi registrati sul taccuino).

Capiterà poi che, a seconda dei risultati raggiunti con gli interrogatori e con la confutazione delle prove raccolte sulla scena del crimine (o nelle abitazioni di testimoni e indiziati), si dovrà necessariamente ricorrere alla violenza o, comunque, all’azione nuda e cruda: sono queste le occasioni in cui dovremo darci alla pazza gioia tra inseguimenti (appiedati o a bordo della propria automobile), scazzottate (comprensive persino di parate, prese e colpi bassi), pedinamenti e vere e proprie sparatorie (con la possibilità ulteriore di fermare il sospetto sparando un colpo d’avvertimento o, qualora le cose dovessero volgere al peggio, di colpirlo a morte mentre risponde impunemente al fuoco o mentre tenta di farsi scudo con un ostaggio).

A tutto questo bisogna poi aggiungere il geniale espediente escogitato dal Team Bondi per spezzare il pathos dei casi più importanti rispondendo alle chiamate giunte al baldacchino della propria vettura dalla Centrale per intervenire, di volta in volta, in 40 diversi episodi di criminalità comune (dai casi di tentato suicidio ai furti con scasso, dai litigi coniugali agli episodi di razzismo).

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GRAFICA E SONORO

Il comparto tecnico di L.A. Noire, andando ben oltre ogni più rosea aspettativa, non si limita ad “abbellire” visivamente l’ambiente ma diventa un fattore determinante della giocabilità e, così facendo, entra di diritto nella storia dei videogiochi per il modo unico ed assolutamente ineccepibile con cui i ragazzi del Team Bondi hanno saputo utilizzare organicamente le animazioni facciali per esprimere le emozioni dei personaggi a schermo sia durante i dialoghi “semplici” che, soprattutto, nelle delicate fasi investigative. La tecnologia rivoluzionaria del MotionScan impiegata nella realizzazione delle espressioni facciali, utilizzando 32 videocamere riesce a cogliere ogni minimo dettaglio dell’interpretazione di attori in carne ed ossa che nel gioco ritroviamo in maniera assolutamente genuina.

La Los Angeles disegnata dagli artisti digitali del Team Bondi, fedele all’originale sin nei minimi particolari degli edifici storici e degli arredamenti degli interni, offre uno spaccato dell’America dell’immediato dopoguerra macchiato solo in parte da un framerate ballerino e da animazioni del corpo non sempre realistiche: a riportare il titolo al livello qualitativo cui ci ha abituato sin dall’inizio ci pensa però il lavoro compiuto nelle texture, nel menù di gioco in squisito bianco e nero, nei modelli poligonali e nella varietà delle automobili (quasi 100 modelli storici).

Sulla falsariga del comparto tecnico troviamo poi il lavoro sul sonoro e su tutto ciò che ha a che fare con l’audio, dalle splendide canzoni ascoltabili via radio alla colonna sonora che cambia dinamicamente in base alle prove raccolte e agli eventi della narrazione principale, fino ad arrivare ai dialoghi resi ancor più sorprendenti dalle animazioni garantite dal MotionScan.

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COMMENTO FINALE

Differentemente da quanto ci si sarebbe potuto aspettare, L.A. Noire non fonde affatto l’universo videoludico a quello cinematografico ma, con delle forme assolutamente sorprendenti e per certi versi rivoluzionarie (su tutte, l’utilizzo della mimica facciale negli interrogatori), ne crea uno completamente nuovo in cui il linguaggio narrativo dei serial televisivi “alla CSI” potenzia l’esperienza di gioco ed esalta ogni singolo istante passato negli scomodi panni del detective Cole Phelps.

L.A. Noire è un’opera di cristallina bellezza che regge magnificamente la pesante eredità videoludica lasciata dai precedenti titoli battenti bandiera Rockstar Games. Il metodo scelto da Brendan McNamara e dal Team Bondi per dare corpo alla narrazione principale attraverso un gameplay così multisfaccettato contribuisce infatti a rendere il titolo accessibile a qualsiasi tipologia di giocatore, anche se gli amanti dell’azione e dell’esperienza immediata potrebbero soffrire i lunghi tempi necessari per le indagini e l’elevato livello di attenzione richiesto all’utente per risolvere i casi.

Non meno importanti, per una questione di obiettività, sono poi le note critiche derivanti dalla scarsa omogeneità tra le animazioni facciali e l’aspetto grafico generale, così come sulla perdita graduale (minima ma assolutamente tangibile) di efficacia dell’impostazione investigativa scelta dagli sviluppatori per illustrare i casi più avanzati della carriera di Cole Phelps e, ultimo ma non per ordine di importanza, sulle blande e semplicistiche meccaniche di gioco delle sparatorie (rese ancora più inconcludenti dalla bontà degli scontri corpo a corpo e delle indagini).

Ciononostante, alla luce della qualità davvero elevata degli altri elementi che abbiamo sviscerato in questa recensione (e di tanti altri particolari che abbiamo preferito evitare per non rovinarvi la sorpresa e il piacere della scoperta), ringraziamo il Team Bondi per l’impegno profuso e speriamo che l’esperienza di L.A. Noire dia una scossa al settore e porti contemporaneamente i detrattori dei videogiochi a guardare a questa forma d’arte e di intrattenimanento contemporaneo con occhi diversi.

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Cosa ci piace
Cosa non ci piace
  • Narrazione solida e convincente
  • L’estensione e la bontà grafica della mappa cittadina
  • La profondità delle fasi investigative
  • Il framerate ballerino
  • La ripetitività dei casi secondari e di qualche caso principale
  • Fasi action e sparatorie migliorabili

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