Konami e la maternità: un rapporto difficile che finisce in tribunale

Una ex-dipendente intenta una causa contro Konami per una non riconosciuta maternità. La compagnia nipponica perde ma è tenuta a pagare una cifra irrisoria
Una ex-dipendente intenta una causa contro Konami per una non riconosciuta maternità. La compagnia nipponica perde ma è tenuta a pagare una cifra irrisoria


Succede in Giappone, presso una delle compagnie più note all’interno del panorama videoludico, ossia Konami. Nel 2009 Yoko Sekiguchi, ex-dipendente della compagnia nipponica, andò in maternità per sei mesi. Fin qui tutto bene. Il punto è che, al suo ritorno, la cara Yoko si è trovata in una situazione tutt’altro che edificante: mansioni e paga sensibilmente ridimensionate (via Gamasutra).

Il suo datore di lavoro ha addotto quale motivazione di questo provvedimento proprio il peso comportato dalla maternità della donna. Attualmente la legislazione giapponese in materia prevede che una futura mamma in stato interessante possa percepire il 60% dello stipendio “regolare” per non più di 14 settimane assentandosi. Sta di fatto che la corte, dopo due anni, ha dato ragione alla Sekiguchi, costringendo Konami a un risarcimento danni pari a 950 mila yen – a fronte dei 33 milioni di yen che in realtà la donna avrebbe perso.

Una battaglia a tutti gli effetti, quella della madre giapponese, la quale ha dichiarato con ferma convinzione di aver agito affinché “la compagnia non sia un posto in cui le persone debbano scegliere tra due alternative: i figli o la carriera“. Succede in Giappone… ma in un mondo come il nostro succede un po’ dovunque.

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