Swarm: la recensione

La storia di Hothead Games e del suo Swarm è un po’ quella che tutti quanti gli sviluppatori indie vorrebbero avere: presentato alla Great Canadian Videogame Competition, il titolo è riuscito in poco tempo a ottenere un finanziamento di 300.000$ grazie al quale portare a termine il progetto, facendo in modo che Ignition Entertainment si occupasse di pubblicarlo.

Per Hothead è arrivata così la grande occasione per approdare su PlayStation 3 e Xbox 360 grazie alle rispettive piattaforme di distribuzione digitale, sulle quali Swarm è approdato a fine marzo: in un misto tra Pikmin e i leggendari Lemmings, influenzato fortemente dalla propria componente platform, andiamo a scoprire cosa ci riservano questi simpatici esserini blu, disponibili come dicevamo su PSN e XBLA al prezzo rispettivo di 14,99€ e 1200MP.

Il gioco inizia con una misteriosa entità aliena che arriva su un altrettanto misterioso pianeta, sul quale vediamo apparire un tentacolone blu che sputa fuori i protagonisti del gioco: gli Swarmites. Il giocatore si trova infatti a dover controllare cinquanta di queste creature blu gelatinose, con l’obiettivo di portarne almeno uno a completare il livello, farcito ovviamente di insidie di ogni tipo destinate a minacciare l’incolumità dei piccoli protagonisti.

Tra un ostacolo e l’altro, il giocatore deve anche occuparsi di raccogliere quanto più DNA possibile, per nutrire da un lato l’organismo madre e dall’altro far lievitare il proprio punteggio, vero e proprio obiettivo del gioco come vedremo più avanti: a conti fatti, nonostante il paragone con giochi come Pikmin e Lemmings ci possa pure stare, la vera anima di Swarm è proprio quella platform, visto che per la maggior parte del tempo ci troviamo impegnati a superare ostacoli e risolvere (piccoli) enigmi.

Il controllo sui cinquanta Swarmites è effettuato in modo totale, intendendo con questa parola la facoltà di muovere tutti quanti i piccoli personaggi con un unico comando impartito tramite il joypad: oltre al movimento, è possibile farli saltare allo stesso tempo, sparpagliare sullo schermo, raccogliere in gruppo, e così via, fino a raggiungere alcune azioni che possono essere compiute solo con un determinato numero di Swarmites ancora in vita.

Swarm

Morire per i punti

Più sopra parlavamo dell’importanza del punteggio: esiste infatti un tetto minimo di punti, sopra il quale è possibile sbloccare il livello successivo. Come fare quindi per garantirsi un punteggio valido ad avanzare dentro Swarm? Facendo il proprio dovere di Swarmite raccogliendo il DNA certo, ma un ulteriore indizio ce lo offre il contatore presente nella schermata principale del gioco, dove campeggia un numero in costante aumento relativo alle morti degli Swarmites nelle varie partite dei giocatori. Già, perché se da un lato l’obiettivo è quello di completare il livello con almeno un superstite, dall’altro le morti dei protagonisti sbloccano il moltiplicatore di punteggio, invogliando quindi il giocatore a compiere qualche sacrificio per ottenere l’accesso alla fase successiva del gioco.

Ad aiutarci in questo compito, la presenza all’interno dei livelli di alcuni checkpoint dove è possibile riportare a 50 il numero di Swarmites. La piega che finisce così per prendere il gioco assume dei toni sicuramente interessanti, riuscendo là dove anche altri giochi come lo stesso Lemmings e Worms sono riusciti: rendere la morte un elemento integrante del gioco, legando da un lato il giocatore ai suoi personaggi ma dall’altro giocando sulla loro apparente stupidità e sulla loro natura gelatinosa per dare luogo a quel tocco di sadismo che ci porta a sacrificare i piccoli Swarmites senza troppi rimorsi.

Il sacrificio dei piccoli amici blu è effettivamente molto spesso cruento: impalazioni, esplosioni e altri tipi di atrocità sono praticamente dietro l’angolo, dando al giocatore anche la possibilità di ottenere speciali medaglie nel saper uccidere “con stile” i propri Swarmites.

Swarm

Nel blu dipinto di blu

Dal punto di vista tecnico, pur non eccellendo Swarm fa pienamente il proprio dovere, soprattutto se ci si sofferma sul sistema di controllo, in grado di rispondere col giusto grado di tempismo, cosa fondamentale visto che ci ritroviamo a controllare cinquanta Swarmites impegnati anche in fasi particolarmente concitate. Anche graficamente il gioco dice la sua, per quanto comunque possa fare una produzione di questo tipo: non aspettatevi il dettaglio di un Crysis 2, per intenderci.

Il sonoro è forse l’aspetto peggiore di Swarm, in quanto è composto da effetti sonori che forse con un po’ d’ispirazione in più avrebbero potuto dare un maggior “tono” all’ambiente e alle azioni dei piccoli personaggi in cerca di DNA.

Swarm

Commento finale

Swarm è un gioco gradevole, in grado di appassionare tutti i tipi di giocatori: da quelli intenzionati a distrarsi ogni tanto tra una partita e l’altra alla superproduzione di tutto, a quelli che invece cercano un titolo con il quale passare un po’ di tempo divertendosi. In ogni caso però, è importante non fare l’errore di prenderlo come un titolo destinato ai cosiddetti giocatori casuali, così come i contenuti potrebbero essere non adatti a un pubblico più giovane (il PEGI indica 12 come età).

La presenza dello sbarramento nel punteggio di livello per accedere alla fase successiva è sicuramente l’esempio più lampante, visto che il raggiungimento della quota minima soprattutto nei livelli più avanzati non è affatto scontato, obbligando spesso il giocatore a tornare indietro.

In definitiva, la fatica di Hothead Games risulta particolarmente gradevole, a patto di scendere un po’ a compromessi con quella che si tratta comunque con un titolo indie, con tutti i pregi e tutti i difetti che tradizionalmente questo tipo di produzioni si portano dietro.

Cosa ci piace

Cosa non ci piace

  • Buon livello di sfida
  • Divertente e immediato
  • Comparto tecnico non eccellente
  • Non tutti potrebbero trovare ciò che si aspettano

Swarm
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