Grand Theft Auto: Chinatown Wars - la recensione

Tra perplessità ed ovazioni, qualche tempo fa è finalmente giunto sugli scaffali di mezzo mondo il tanto chiacchierato Grand Theft Auto: Chinatown Wars. Per alcuni una sfida, per altri una scommessa, ma per Rockstar Games e Nintendo semplicemente un’occasione da non farsi sfuggire. Sì perché questo ulteriore capitolo della nota serie, volente o nolente, costituisce molto di più di “uno dei tanti giochi”, alla luce di due aspetti da tenere particolarmente in considerazione. Da un lato i contenuti di cui dispone, che davvero poco si prestano alle classiche critiche, tutte vertenti sulla supposta, totale apertura verso i cosiddetti “non-giocatori”. Dall’altro la curiosità di capire in che misura potesse rendere un simile titolo su di una così particolare console.

Ciò su cui ci soffermeremo in questa analisi andrà ben oltre simili argomentazioni, che per noi non rappresentano altro che la scorza. Con quanto segue ci proponiamo di comprendere, nei limiti delle nostre possibilità, che impatto abbia avuto e possa avere questo Grand Theft Auto sull’intera serie targata Rockstar, nonché il suo contributo a questa piccola, grande battaglia che in fin dei conti esiste solo per la comunità dei videogiocatori. Un punto di partenza da cui ricavare (si spera!) qualche interessante spunto di riflessione, anche in vista di una maggiore speculazione su simili esperimenti; a nostro modesto parere, sempre graditi. Buona lettura!

“UNA SPADA E’ PER SEMPRE”… OPPURE NO?

Tolta la poco felice citazione di una nota pubblicità di diamanti, ce ne serviamo solo per introdurre questa nostra disamina, quale incipit alla trama di fondo. Tutto ha inizio, non a caso, proprio da una spada, quella spada: Yu Jian. L’ingrato compito di consegnarla a chi di dovere spetta a Huang Lee, giovane di belle speranze che crede nella Triade e nei suoi principi quanto oggi si crede nei miracoli attestati dalla Chiesa. Uno spavaldo insomma, che non manca di rinfacciare il suo atavico menefreghismo verso questo mondo fatto di “codici” e di “onore”.

In realtà il vero motore di tutto, manco a dirlo, è la vecchia e cara vendetta. Leit motiv di una sconfinata sequela di opere (da quelle letterarie, a quelle cinematografiche), questo sentimento, vecchio come l’Uomo, rappresenta la scintilla scatenante. Giunto a Liberty City e deciso più che mai a redimere il buon nome del padre, qualcosa va storto in partenza: non appena atterrato, infatti, il nostro protagonista viene rapito e successivamente gettato in mare dentro un auto. Sebbene riesca ad uscirne, alla fin fine, sano e salvo, lo stesso non può dirsi per il “prezioso” oggetto: Yu Jian è scomparsa!

Ecco che appare un primissimo aspetto di estrema comunanza con il ben più blasonato GTA IV, vale a dire quello del protagonista in balia di un fato ineluttabile, al quale non può sottrarsi bensì combatterlo. Un ricorso ad epopee d’altri tempi insomma, come quelle brillantemente narrate da Omero. Qui però non ci sono eroi, nessuno lotta e si dimena in quello strano circo che è la vita affinché la propria memoria resti immortale. Il concetto alla base è, chiaramente, molto meno alto e più dannatamente folle, se vogliamo.

Basta stare un po’ a contatto con gli svariati datori di lavoro per comprendere quanto, ancora una volta, Rockstar abbia cercato di offrirci uno scenario al limite del grottesco. Personaggi diametralmente opposti, ma tutti ugualmente improponibili quanto ad equilibrio mentale. Fa qui nuovamente la sua comparsa quell’esasperazione della società americana, con i suoi vizi e i suoi limiti – le virtù sembrano non essere pervenute. Un pout-pourri di luoghi comuni e convinzioni radicate da fare spavento, ma che trattate con l’usuale ironia di questa storica casa di sviluppo, riesce a sorprendere per la sua efficacia.

E mentre noi ci dilettiamo a compiere le numerose missioni che dobbiamo affrontare per progredire nella storia, non mancano episodi assurdi che, considerati come parte integrante dell’esperienza, contribuiscono ad arricchirla in maniera determinante. In tal senso ha forse giovato fare tesoro di alcuni piccoli dettagli di cui si fece un anno or sono portavoce GTA IV. Vivere la città anziché servirsene quale semplice e mero sfondo di una serie di compiti da portare a termine, risulta anche in questo caso una componente essenziale. La libertà fornita al giocatore rimane comunque invariata: gironzolare “inutilmente” o esplorare quanto basta rimane a propria discrezione.

Essenziale resta però cogliere alcune piccole sfumature: dai flash dei turisti che scattano foto nei pressi di Middle Park, ai pedoni che aprono i rispettivi ombrelli quando comincia a piovere. Si perché in GTA: Chinatown Wars tutto contribuisce a formare quel grande dipinto che è il gioco. Come nei migliori dipinti, infatti, è la scelta dei colori, la sapienza nell’utilizzo del chiaro-scuro e via discorrendo a fare la differenza. Non a caso, proprio i pedoni fungono da esempio ai fini di questo nostro discorso. Possiamo osservarli mentre, seduti comodamente su di una panchina, si aprono il loro giornale, oppure mentre discutono liberamente blaterando frasi del tipo “Ho bisogno di un drink” o, “Non m’interessa cosa pensa la gente di me”.

Banalità forse, ma che il sapere leggere ed interpretare può fare la differenza. E questo durante il dipanarsi di una trama a tratti scontata probabilmente, ma al tempo stesso ipnotica. Vogliamo capire fino a che punto Huang possa semplicemente definirsi uno sfigato, e quanto questo invisibile fato riesca a prendersi gioco di lui. E’ altresì appagante tracciare un sommario identikit dei vari personaggi, mentre si servono della loro marionetta (ossia il protagonista) per motivi, sostanzialmente, fuori da ogni logica. E se sarete pazienti nel porre attenzione a quelle piccole sfumature di cui abbiamo accennato, non potrete fare a meno di essere ricambiati con altrettante soddisfazioni.


PENNINO ALLA MANO

Non stupisce di certo che una delle componenti più attese fosse indubbiamente l’implementazione del touch-screen – con relativo pennino – la cui resa ha sin da principio fatto storcere il naso a non pochi. A primo impatto, si tratta chiaramente di una soluzione un tantino atipica: come integrare questa fondamentale funzione ad un gioco simile?

Beh, la risposta fornita da Rockstar Games ci pare più che soddisfacente. Essenzialmente si è fatto in modo di dosarne l’utilizzo limitandovi il ricorso a situazioni in cui davvero se ne possa sentire il bisogno. Inutile utilizzare il pennino per guidare, muoversi o sparare, quando poi risultano decisamente più agevoli i buon vecchi tasti. Meglio servirsene per un altro tipo di operazioni, anche per non spezzare il ritmo spesso frenetico del gioco.

Ecco allora che operazioni quali l’apertura forzata di casse, cancelli e cose simili vengono intelligentemente affidate all’uso del touch-screen. Ma non basta, poiché sono numerosi i mini-giochi per i quali non c’è altra via se non quella di prendere in mano il pennino – come quando si tratterà di digitare un codice di detonazione, incidere sul braccio di qualcuno un tatuaggio o spacciare droga (quest’ultima, indubbiamente una delle novità più simpatiche).

Fin qui l’innovazione. Ma per dovere di cronaca è giusto segnalare un altro aspetto di questo titolo, quello essenzialmente un po’ più rivolto al passato e agli ovvi limiti di questa console in termini di giocabilità. Nulla di male nell’evidenziare come il Nintendo DS abbia da sempre sofferto gli action duri e puri, trovando questa affermazione riscontro in non poche produzioni (fatto salvo qualche rarissimo caso, come quello di Ninja Gaiden Dragon Sword probabilmente). Se a questo aggiungiamo il fatto che il titolo riprenda per certi versi la struttura dei primissimi GTA, ben si comprende quanto il compito possa risultare arduo – anche se ciò non implica necessariamente qualcosa di negativo, anzi.

La varietà di azioni a nostra disposizione risulta piuttosto limitata, senza contare che anche all’interno di questa piccola cerchia si ravvisa qualche piccola magagna. Per alcuni, infatti, la guida potrebbe risultare un po’ ostica, giusto per citare un esempio. Questo perché non disporre di un giusto retaggio nell’ambito della serie potrebbe mettere alcuni fuori strada. Nel cercare di rimanere, sotto certi aspetti, fedeli a sé stessi, bisogna per forza di cose fare i conti con alcuni piccoli compromessi. In questo senso Chinatown Wars non fa sconti, ed offre un’esperienza talmente semplice da risultare a tratti anacronistica.

Ma anche questo fa parte del gioco: in certe situazioni si suole usare il metro della compensazione. Dove questo titolo risulta scarno a livello di proposta del gameplay, sopperisce alla grande con un cospicuo numero di possibilità mediante l’altra sua faccia, ossia quella spiccatamente innovativa. E questo funge da discriminante principale, in cui un simile titolo ha beneficiato non poco della presenza del touch-screen del DS, senza il quale – forse – staremmo parlando in altri termini.


GRAFICA E SONORO

Cominciamo col porre alcune doverose premesse: ci vogliamo preventivamente scusare con quei lettori che ravviseranno un eccesso di entusiasmo nelle considerazioni che seguono. Ma se volete prendervela con qualcuno, beh, non vi resta che rivolgervi agli sviluppatori. Checché se ne dica, GTA: Chinatown Wars è un autentico miracolo sotto l’aspetto puramente visivo. E se pensate che ci si stia sbilanciando, sappiate che fino ad ora ci siamo solo limitati a delle constatazioni oggettive. Dateci ora modo di dire la nostra.

Sì perché questa volta ci troviamo dinanzi ad un vero spettacolo per gli occhi. Facciamo seriamente fatica ad immaginare qualcosa di meglio su questa console, che per l’occasione pare essere stata spremuta al massimo – qualunque cosa ciò voglia dire. Non solo un pregiatissimo 2D vecchio stampo, bensì pure un fine cel-shading di cui si avverte appena la presenza – senza mai essere inutilmente invasivo insomma. Anche in questo caso, tra l’altro, giocano un ruolo rilevante i numerosi dettagli.

In primis vorremmo menzionare l’eccezionale resa degli agenti climatici ed atmosferici, una delle componenti a nostro avviso più riuscite. Assistere ad un temporale che si abbatte su Liberty City è davvero sbalorditivo, e gli effetti luce dei vari lampi e tuoni non fanno che confermare ed accrescere la genuinità di questa impressione.

I danni delle auto rappresentano pure un’altra nota lieta. Cumulabili come in tutti i GTA, riescono spesso a spiazzare per come possano risultare sovente così “fedeli”. Senza contare la miriade di dettagli di cui è impregnato l’intero ambiente di gioco: dai cartelloni pubblicitari, ai murales sugli edifici; dai passanti la cui presenza funge tutt’altro che da contorno, alle auto che sfrecciano per le strade. La città è viva, si muove e respira in maniera indipendente da noi, quasi non avesse bisogno delle nostre sessioni di gioco per dimostrarlo. E quando si riesce ad ottenere un simile risultato su di uno schermo di appena qualche pollice, beh, non sappiamo se due mani siano sufficienti per gli applausi.

Ma quasi a volere malignamente smorzare gli animi sicuramente infuocati da quanto espresso sino ad ora, ci tocca discutere brevemente anche su di un altro aspetto, vale a dire il sonoro. Se parliamo in questi termini è perché tale componente non raggiunge neanche alla lontana le vette di eccellenza toccate da quella grafica.

Uno degli elementi che ci ha lasciato un po’ l’amaro in bocca, per esempio, è quello riguardante il comparto audio delle stazioni radio: un po’ più scialbo del previsto, a nostro parere. Certo è che non ci aspettassimo una colonna sonora degna di Vice City, ma già Grand Theft Auto 2 seppe offrire di meglio – e il fatto che si arrivi a scomodare un capolavoro di quel calibro la dice lunga su quale considerazione abbiamo del titolo in esame. Più convincenti, invece, i vari effetti sonori che accompagnano il resto delle nostre sessioni. In altre parole, tirando le somme a riguardo, non si tratta di qualcosa di stravolgente ma in ogni caso assolutamente funzionale ed efficace.


COMMENTO FINALE

Cosa dire a conclusione di questa nostra analisi? Grand Theft Auto: Chinatown Wars vince su più fronti poiché forte dell’encomiabile pregio di saper trovare un suo equilibrio, senza cedere più di tanto ad alcun compromesso. Vince laddove rischia tutto nel volersi riappropriare di un passato che appartiene a questa serie e che gli ultimi capitoli sembrano aver voluto leggermente isolare. Dimostra che l’innovazione può benissimo andare di pari passo con quanto già ampiamente rodato.

Questo titolo è un proclama, l’ennesimo, al 2D e alla sua scongiurata morte prematura. Non fosse altro per un protagonista un po’ troppo “logorroico”, staremmo qui a discutere di un seguito spirituale di quella storica e fondamentale opera che fu Grand Theft Auto 2, massima espressione di una serie che, nel bene e nel male, sembra non trovare pace. Insomma, giocatelo, godetevelo ma soprattutto: non chiamatelo semplicemente uno “spin-off”! Fareste un torto alla ragione prima ancora che a voi stessi.

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