Lollipop Chainsaw: la recensione

Lollipop Chainsaw: l'ultima follia di Suda51 recensita per voi da Gamesblog.it
Lollipop Chainsaw: l'ultima follia di Suda51 recensita per voi da Gamesblog.it

Dopo essersi goduto una breve ma meritata pausa per aver coronato con Shadows of the Damned il suo sogno recondito di lavorare assieme a Shinji Mikami, il folle e perverso genio visionario di Suda51 torna a scuotere l’assopita industria videoludica giapponese con le atmosfere caramellose e sanguinarie di Lollipop Chainsaw, un action zombesco “sui generis” realizzato con la collaborazione di James Gunn, un regista e sceneggiatore americano tanto eccentrico quanto il suo amico e collega nipponico.

Plasmata a immagine e somiglianza dei pensieri malati di quel geniaccio di Goichi Suda e di chi, con infinito coraggio, non è ancora scappato a gambe levate dagli studi di Grasshopper Manufacture, l’avventura di Lollipop Chainsaw ci proietta in una buffa dimensione parallela a tinte pastello che esorcizza i vecchi horror di celluloide per omaggiarne la grandezza con lo stile inconfondibile delle opere di Suda51, dalle citazioni nei dialoghi con i personaggi non giocanti alla direzione artistica impressa nelle sequenze d’intermezzo che fanno da contorno all’azione di gioco con la bella Juliet.

A diverse settimane dall’uscita del videogioco nei negozi di mezzo mondo e dopo averne completato la campagna principale per due volte e mezza, decidiamo così di offrirvi il nostro punto di vista su Lollipop Chainsaw per sviscerare (è proprio il caso di dirlo) gli aspetti più nascosti della trama, della giocabilità e del comparto tecnico.

RIPETENTI E RITORNANTI

La trama di Lollipop Chainsaw segue l’alchimia narrativa trovata negli anni dagli autori di Suda51 e mantiene la linearità tipica dei giochi d’azione in terza persona, pur con tutte le distinzioni del caso dovute, come abbiamo avuto modo di ammirare nelle video-dimostrazioni e nelle anteprime osservate in questi mesi, al tratto distintivo impresso dai Grasshopper nel “modo” in cui l’avventura andrà a dipanarsi di missione in missione fino a giungere all’epilogo finale.

Semplice e al tempo stesso tremendamente complessa, la storia raccontataci dai ragazzi di Goichi Suda ruota attorno alla sinuosa figura di Juliet Starling, una cheerleader della San Romero High School che porta a un livello superiore, scimmiottandolo per demolirlo, il trito stereotipo della “bionda senza cervello”: sin dalle prime sequenze in cinematica che aprono l’avventura, capiamo infatti che dietro alle mielose apparenze di una svampita adolescente nel pieno della pubertà si cela un vulcano di violenza pronto ad esplodere in qualsiasi momento.

Ingenua e spensierata nei tanti dialoghi a cui si lascia andare con il suo fidanzatino Nick per spezzare l’azione di gioco tra un combattimento e l’altro, la diciottenne protagonista dell’avventura, in quanto figlia di un’antica dinastia di cacciatori di zombie, si trasforma in una spietata macchina di distruzione ambulante quando si trova costretta a difendere la sua scuola dall’invasione di non-morti causata da Swan, un alunno asociale della San Romero entrato misteriosamente in possesso delle formule arcane necessarie per aprire un varco tra la nostra dimensione e quella ultraterrena del Mondo Putrefatto, una sorta di girone dantesco abitato da diavoli incorporei capaci di trasformarsi in folli zombie mangia-cervello.

Pur senza snocciolare ulteriori dettagli sulla trama per non rovinarvi il piacere della scoperta, non possiamo non concludere questo paragrafo affermando che la straordinarietà del plot narrativo, la varietà di ambientazioni esplorabili e il pantheon di folli personaggi incontrabili fanno di Lollipop Chainsaw uno dei titoli più imprevedibili di questa generazione di console: a deprimere il tutto è però lo scarso lavoro svolto dai Grasshopper nel donare al titolo una longevità sufficiente. Bastano infatti poco meno di 10 ore (complessive, non di gioco effettivo) per portare a termine l’avventura, e a poco, in termini di rigiocabilità, serve la trovata di modificare la tipologia degli zombie affrontabili per acuirne la pericolosità all’aumentare del livello di difficoltà.

Lollipop Chainsaw: galleria immagini

IL MIO REGNO PER UNA MOTOSEGA

Oltre all’ampio catalogo di attacchi ispirati alle coreografie da cheerleader (ivi incluso l’utilizzo dei pon pon per infastidire, indebolire e rallentare i nemici), la bella Juliet può vantare una serie ulteriore di combo tritaossa apprese dal sensei feticista Junji Morikawa per aiutarla ad affrontare i non-morti continuando la secolare “tradizione di famiglia” condivisa con le sue sorelle, Cornelia e Rosalind, anch’esse presenti nel titolo per arricchire l’esperienza della campagna con situazioni ai limiti dell’assurdo.

Come in tutti gli altri titoli del genere degli action in terza persona, naturalmente anche in Lollipop Chainsaw le mosse a disposizione di Juliet non rimangono sempre le stesse ma crescono sia in numero che in complessità (e quindi anche in violenza) per permettere all’utente di sbizzarrirsi, di missione in missione, concatenando i singoli attacchi impiegabili dalla protagonista per avere la meglio sul cattivone di turno: tra mosse di base (calci e pugni), schivate e fendenti portati con la motosega, la nuova eroina di Suda51 tiene egregiamente testa ai suoi avversari accelerandone, per così dire, il “processo di decomposizione” con decine e decine di attacchi, dai più semplici ai più elaborati.

Anche per il gameplay, come per la trama, è la fantasia il vero motore trainante dell’ultima, folle opera di Goichi Suda e di James Gunn: assieme alle combo sbloccabili spendendo le monete magiche raccolte durante l’avventura nel Chop2Shop (una pseudo-rete internet di negozi virtuali che vendono vestiti, potenziamenti e, appunto, mosse di combattimento), chi decide di indossare i succinti panni di Juliet può rendere ancora più intrigante e “variopinta” la propria esperienza con degli strampalati ma efficaci mini-giochi legati all’uso della testa del fidanzato Nick, agli attacchi speciali ottenibili riempiendo un’apposita barra di energia e a tante altre attività dal tono volutamente canzonatorio (dallo zombie-basket alla lap dance).

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Gli scontri con i boss di fine livello e con i nemici maggiori rappresentano a meraviglia il poliedrico caleidoscopio di situazioni che Suda51 e i suoi Grasshopper Manufacture hanno voluto creare per sconvolgere gli spettatori con soluzioni ad effetto: seppur nella sua brevità, l’avventura di Lollipop Chainsaw è un susseguirsi di colpi di scena e di repentini cambi di location aventi ognuna le sue particolari tipologie di zombie, di mini-giochi e di intermezzi filmati che ricollegano come in un puzzle tutti gli elementi della trama fino al doppio finale (buono o cattivo, in base al numero di persone salvate portando a termine tutti e cinque i capitoli del singleplayer).

Un titolo che per sua natura fa della “non convenzionalità” la sua arma più affilata, però, non può essere esente da difetti: il tasso di sfida offerto dagli scontri con gi zombie, ad esempio, non è dei più elevati anche al più alto livello di difficoltà. L’impossibilità di rimappare i tasti degli attacchi, inoltre, provoca dei problemi nella memorizzazione e nell’esecuzione delle combo più veloci e delle mosse più complesse, con tutte le conseguenze che potete facilmente immaginare in termini di varietà di attacchi: proseguendo nell’avventura, infatti, per comodità la protagonista tende a compiere meccanicamente le stesse mosse.

L’elemento che più di ogni altro meriterebbe di essere citato per la sua inefficacia è però quello deputato a gestire il sistema di inquadrature automatiche: nelle fasi in cui Juliet si trova costretta a girovagare per corridoi angusti, infatti, la telecamera di gioco diventa fissa e tende, per così dire, a “perdersi” senza mettere a fuoco la protagonista e l’area popolata di zombie in cui bisogna dirigersi per proseguire nell’avventura.

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GRAFICA E SONORO

Il comparto tecnico di Lollipop Chainsaw, ben più dei precedenti lavori di Suda51, riprende e amplifica le contraddizioni della trama e delle meccaniche di gioco: alla cura maniacale per i protagonisti principali fa infatti da triste contraltare la blanda caratterizzazione delle ambientazioni. Come fossimo in un ottovolante impazzito, il saliscendi qualitativo del lavoro compiuto dai programmatori di Grasshopper Manufacture riporta indietro di diversi anni l’Unreal Engine 3: le animazioni sconnesse, la deprimente texturizzazione al ribasso delle aree di gioco e la ridondanza dei modelli poligonali danno l’idea di quanto poco sia stato fatto dai ragazzi di Goichi Suda. Come parziale “contropartita tecnica” abbiamo però l’ottima impronta stilistica data ai menù “fumettosi”, il grande numero di oggetti collezionabili, la varietà degli abiti indossabili da Juliet e, soprattutto, l’incredibile livello qualitativo raggiunto dagli artisti del comparto sonoro.

Affidata alle amorevoli cure di Akira Yamaoka e Jimmy Urine, la colonna sonora di Lollipop Chainsaw è, senza timore di smentita, una delle migliori che siano state realizzate in questa generazione: le composizioni confezionate per dare corpo ai filmati d’intermezzo e alle scene di gioco più importanti, alternandosi agli azzeccati brani d’accompagnamento, afferrano lo spirito leggero e sopra le righe dell’opera per aumentarne il valore originario, e non di poco. Davvero ottimo e ben sopra al livello delle produzioni analoghe è poi il doppiaggio, mantenuto in inglese ma con sottotitoli in italiano data l’impossibilità di tradurre nella nostra lingua determinate espressioni che definire “colorite” sarebbe un eufemismo (i dialoghi tra Juliet e Nick, o tra la stessa e il suo vecchio sensei, sono da film a luci rosse).

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COMMENTO FINALE

Lollipop Chainsaw è un’opera contraddittoria dal fascino immenso, brillante e acuta come solo una creatura di Suda51 sa esserlo: un gioco piacevolmente folle tanto quanto lo è stato, l’anno scorso, il viaggio compiuto da chi ha deciso di accompagnare Garcia Hotspur negli Inferi di Shadows of the Damned.

La leggerezza con cui la burrosa protagonista si lancia sui non-morti piroettando sulle loro teste per tagliargliele via con fendenti fulminei di motosega dà il senso dell’atipico impianto narrativo eretto dai Grasshopper per alimentare, giustificandola, la frenesia dell’azione di gioco vera e propria. La sfacciata vocazione da B-movie e una serie di gravi errori nel comparto grafico e nel gameplay, però, compromettono irrimedialmente il giudizio finale sull’ultimo titolo firmato dai ragazzi di Grasshopper Manufacture: a prescindere dalle evidenti lacune di questo primo capitolo dedicato a Juliet, comunque, le potenzialità per una serie di successo ci sono tutte. Tutto sta nel capire se, e soprattutto quando, il team di Goichi Suda comincerà a prendersi sul serio e a credere di più nelle proprie capacità a tutt’oggi in larga parte inespresse.

Cosa ci piace
Cosa non ci piace
  • Folle e “stiloso” come solo un gioco di Suda51 sa esserlo
  • Il sistema di combattimento, vario ed efficace
  • Il comparto audio, ottimo nei dialoghi e magistrale nella colonna sonora
  • Un’avventura poco longeva e scarsamente rigiocabile
  • Le troppe lacune del comparto grafico
  • La scarsa reattività dei comandi
  • La gestione penosa delle telecamere

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