Cursed Mountain: la recensione

Dopo aver collaborato con Rockstar alla realizzazione delle serie videoludiche di Max Payne e Manhunt, i ragazzi degli studi viennesi di Deep Silver sono finalmente pronti ad accompagnare gli utenti Nintendo Wii in un lungo e tetro viaggio tra le impervie e misteriose montagne dell’Himalaya.

L’originalità dell’ambientazione e la fortissima caratterizzazione esoterica degli eventi che si dipaneranno nel corso dell’avventura fanno di Cursed Mountain un prodotto decisamente atipico anche per il genere di riferimento dei survival horror: proprio per questo, però, vale la pena soffermarci ad analizzarne le caratteristiche salienti attraverso un’accurata disamina di tutto ciò che di buono ha da offrire la Montagna Maledetta di Deep Silver.

CHOMOLONZO, DA PARADISO CONTEMPLATIVO A INFERNO DI GHIACCIO

Siamo nel pieno degli anni ’80: affascinato da una leggenda buddhista secondo la quale le impervie vette himalayane custodiscono un incredibile tesoro in grado di donare la vita eterna a chi ne riesce ad entrare in possesso, Edward Bennett subisce passivamente il richiamo ancestrale della montagna sacra del Chomolonzo, tenta invano di scalarla e si procura una ferita tanto grave da impedirgli di potersi muovere dal villaggio di Lhando, situato alle sue pendici.

Non potendo più sostenere il lungo viaggio verso il fantastico tesoro del Terma, Bennett non può fare altro che confidare nelle forze del giovane e audace scalatore Frank Simmons: del caparbio giovanotto si perdono però subito le traccie, e solo allora Bennett capisce che la valle ha più abitanti di quanti si riescano a vedere con occhi umani.

Nonostante un rapporto non proprio idilliaco col fratello, Erik Simmons decide di mettere momentaneamente da parte la conflittualità con Frank e di avvalersi delle sue innate capacità esplorative: sin dai primi istanti della sua ricerca, però, scopre sulla sua stessa pelle che la venerazione della popolazione locale per quell’anonimo ammasso di roccia è in realtà un vero e proprio terrore scaturito dalla misteriosa maledizione che sembra unire le anime dei defunti e la montagna in un orrendo abbraccio mortale.

Cursed Mountain: galleria immagini

IL TIBET E LA DIMENSIONE PARALLELA

Con le sue immense catene montuose, con un clima così impossibile, con una vegetazione ed una fauna tanto illogiche quanto poetiche, l’Himalaya è da sempre una fonte praticamente inesauribile di ispirazione per i buddhisti tibetani, la cui vita non può che essere scandita dal ritmo della selvaggia natura che li circonda e li accoglie come una gigantesca divinità terrena: se le rosse vesti dei monaci rappresentano la venerazione per una zona geografica unica al mondo, gli abiti pesanti degli Sherpa sono l’emblema di una società capace di vivere simbioticamente con ciò che la circonda (e la sovrasta, come in questo caso).

Quando però un così perfetto dualismo filosofico-religioso tra Natura e Uomo viene sconvolto da una maledizione che riesce a scardinare equilibri millenari ritenuti inviolabili, le antiche concezioni e le moderne conoscenze terminano in un Caos dove il mondo dei vivi e quello dei morti finiscono malauguratamente con l’intrecciarsi l’un l’altro: è in un’ambiente così ostile e incerto che il nostro Erik dovrà trovare in qualche modo la strada per arrivare a suo fratello, prima che il Caos li schiacci entrambi in un giogo demoniaco.

Per realizzare al meglio una sfida così anomala alle forze della natura e a quelle della sfera paranormale, i ragazzi di Deep Silver Vienna hanno deciso di adottare un doppio approccio che sappia avvicinare gli utenti facendogli gustare una giocabilità immediata e familiare senza però lasciarsi scappare l’occasione di innovare un genere, come quello dei survival horror, decisamente troppo inflazionato e quindi tendente a fastidiose ripetizioni.

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I SEGRETI DI UNA GIOCABILITÀ “SCALARE”

Se l’originalità narrativa del titolo Deep Silver contribuisce all’unicità di Cursed Mountain (e non solo nel suo genere di riferimento), la giocabilità scelta dai ragazzi degli studi viennesi cerca di avvicinare l’immediatezza dei primi Resident Evil e Silent Hill al pathos di produzioni come Project Zero.

Al buon vecchio Erik e al giocatore viene infatti data la possibilità di ambientarsi dolcemente attraverso il racconto minuzioso dei rituali buddhisti così come delle vicende che hanno portato alla creazione del Terma prima e alla maledizione poi: passato il breve periodo preparatorio, però, Chomolonzo diviene sempre più ostile al prode scalatore, scagliandogli addosso nugoli di monaci-fantasma nel tentativo di allontanarlo dal tesoro e dai segreti che la montagna sacra custodisce gelosamente dall’alba dei tempi.

Il monte sacro è ora infestato di demoni ansiosi di giocare ad hockey su ghiaccio con la nostra testa, non avremo praticamente alcun contatto con altri esseri umani prima del ritorno al campo-base, eppure l’ascesa e la ricerca di Frank ci consentono comunque di manifestare appieno la nostra umanità. L’arma impugnabile da Erik, una sorta di piccozza da scalatore appartenente a suo fratello Frank e da lui opportunamente benedetta su consiglio di Bennett, d’apprima ci offre l’unico spartano strumento per colpire “mortalmente” gli eterei abitanti di Chomolonzo, ma dopo opportuni potenziamenti e con l’ausilio di particolari riti buddhisti diviene addirittura in grado di “esorcizzare” gli spiriti dei monaci liberandoli dalla maledizione e regalandogli la pace eterna non prima d’averli “gentilmente costretti” a donarci un pizzico della loro energia spirituale.

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GRAFICA E SONORO

Dal punto di vista meramente tecnico, Deep Silver Vienna è riuscita a dare a Cursed Mountain una solidità davvero invidiabile, soprattutto in considerazione delle limitate capacità hardware della console deputata a farlo girare. A fare da contraltare alla splendida caratterizzazione dei volti e delle vesti sia del personaggio che delle anime in pena, però, ci pensa la pochezza della varietà delle ambientazioni, la cui scarsa cura obbliga spesso il giocatore a ricorrere alla mappa per capire se ciò che si sta osservando è un punto mai visto o una zona già battuta più e più volte.

Le incertezze riscontrabili nella componente grafica, invece, non le ritroviamo in quella sonora, opportunamente rimodulata per rendere credibili sia le azioni di gioco all’interno dei monasteri o dei locali al chiuso, sia naturalmente l’assordante silenzio delle location esterne dominate dal bianco della neve e dal vento che spazza le cime himalayane in lontananza. Una nota particolare la merita il doppiaggio in inglese sottotitolato in italiano, il cui accento squisitamente britannico tradisce le origini di Erik e contribuisce nell’immedesimazione.

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COMMENTO FINALE

Ad ogni impronta di scarpa impressa nella neve di Chomolonzo il cuore sussulta, ad ogni metro percorso tra le asperità del terreno i nervi saltano, ad ogni luce tremolante scaturita da una fioca candela gli occhi s’imperlano di lacrime e si serrano in preda al terrore: se scalare una vetta himalayana è già di per sè un’impresa sovrumana, in Cursed Mountain tutto questo assume un livello di tragicità emotivamente schiacciante.

Senza limitarsi a galleggiare nel mare magnum dei survival horror, i ragazzi di Deep Silver Vienna decidono di scendere in profondità per scovare tecniche narrative audaci, confezionando attorno a Cursed Mountain una giocabilità tradizionale per rendere immediato un prodotto altrimenti destinato ad una ristretta cerchia di appassionati dell’orrore e delle filosofie orientali.

Nella faticosa scalata alla ricerca di Frank, però, sono davvero tanti i punti interrogativi che i giocatori si trovano inevitabilmente a segnare sulla candida neve di Chomolonko con piccole briciole di pane: differentemente da Pollicino, però, sulla strada del ritorno Erik trova una longevità decisamente insufficiente, una giocabilità che nei momenti più concitati diventa a dir poco confusionaria, ed infine una realizzazione tecnica incompleta nonostante l’apprezzabile sforzo artistico ricreante un ambiente fin’ora inedito per una produzione videoludica moderna, ossia quello himalayano dei buddhisti tibetani.

Nonostante la presenza di limiti programmatici e strutturali che affiorano frequentemente nel corso dell’avventura di Deep Silver Vienna, ci sentiamo di consigliare l’acquisto di Cursed Mountain a tutti coloro che in un titolo cercano una storia appassionante e credibile, capace di regalare forti scariche d’adrenalina nonostante un ritmo di gioco blando e contemplativo.

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Cosa ci piace

Cosa non ci piace

  • Trama convincente e coinvolgente
  • Riesce a regalare attimi di puro terrore
  • Comparto audio eccelso
  • Gli avversari sono troppo deboli
  • Longevità ai minimi storici
  • Ripetitività delle ambientazioni

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